lunedì, settembre 04, 2017

VENEZIA 74: FIRST REFORMED

First Reformed
di Paul Schrader
con Ethan Hawke, Amanda Seyfred
USA, 2017
genere, drammatico, thriller
durata, 108'



Da "The Young Pope" a "First Reformed", la Chiesa e i suoi "soldati" sono sempre più protagonisti tanto sul grande che sul piccolo schermo. Lungi dall'essere una semplice coincidenza o il risultato di una moda passeggera, il fenomeno in questione è la risultante di una duplice spinta che, da una parte, si spiega con la necessità della Chiesa di fare ammenda degli scandali di cui si è macchiata, sottoponendosi, e quasi autorizzando, la gogna mediatica scaturita dalla scoperta delle iniquità di cui la stessa si è macchiata; dall'altra, risponde all'essenza stessa della fede, capace come poche di interrogare le crisi del proprio tempo e di sondare gli abissi più profondi dell'animo umano. Così, mentre William Friedkin porta in laguna un documentario ("Il diavolo e padre Amorth"), che ancora una volta lo vede coinvolto in una storia che ha per tema le possessioni del maligno, a rincarare la dose ci pensa il collega Paul Schrader con un film per certi versi avvicinabile a quello che ha reso famoso il cineasta di Chicago. Intendiamoci, "First Reformed", presentato ieri in anteprima nell'ambito del concorso ufficiale della 74 Mostra del cinema di Venezia, non ha nulla di esoterico e di sovrannaturale, così come il rigore e l'asciuttezza dello stile poco c'entrano con il sensazionalismo e la spettacolarità che hanno fatto de "L'eosrcista" uno dei lungometraggi più famosi del pianeta. Come il padre Merrin di Max Von Sydow, anche il pastore di anime interpretato da un grande Ethan Hawke non rinuncia a entrare in dialettica con i recessi più nascosti della personalità umana, trascesi nel dialogo interiore che prende forma sulle pagine del diario compilato dal prete al termine delle sue convulse giornate. Con l'eccezione costituita dal fatto che, a differenza di ciò che succedeva nel film di Friedkin, il diavolo di "First Reformed" non ha le sembianze del Belzebù tramandato dalla tradizione iconografica, ma in fasi successive assume le sembianze dei lobbisti conservatori che in gran segreto e tra mille sotterfugi sponsorizzano la congregazione religiosa nella quale presta servizio il protagonista, oppure si insinua nei dubbi e nei tormenti provocati dal senso di colpa che scaturisce dal ricordo della morte del figlio, di cui padre Torrell si sente responsabile.
A ben vedere, il conflitto tra la dimensione intima della storia, occupata quasi per interno dalla confessione epistolare messa in atto dal protagonista, e quella pubblica, imperniata sulle vicissitudini connesse con i doveri del proprio sacerdozio, una parte dei quali rivolti a contrastare l'egoismo delle istituzioni cittadine e anche religiose, diventa il propulsore drammaturgico capace di fornire alla trama una spinta in avanti che il succedersi degli eventi (ridotti all'osso e di fatto riconducibili all'evento luttuoso che si verifica all'inizio del film), da sola, non riuscirebbe a fare. In questa maniera "First Reformed" diventa, da un lato, il percorso salvifico di un'anima in cerca di riscatto, e, come spesso avviene nei film di Schrader, la messa in scena di una via crucis in cui la mortificazione della carne e il sacrificio personale giocano un ruolo decisivo, dall'altro, si sistema nei pressi di un vero e proprio noir esistenziale, in cui il film, allargando i propri orizzonti, e passando dal particolare all'universale, fa del destino del protagonista l'ago della bilancia sul quale misurare le sorti dell'intera umanità. 



Se Schrader continua a fare film a modo suo, e quindi a lavorare con budget indipendenti e su un idea di cinema che fa dell'etica il suo principio informatore, bisogna dire che "First Reformed" segna uno scarto considerevole rispetto alla produzione più recente del regista americano, Questo si verifica sotto il profilo dei contenuti, tornati a farsi contaminare dalla poetica e dai temi che avevano scandito i momenti più alti della sua cinematografia, ma soprattutto della forma, sottratta al vitalismo stilistico di "Cane mangia cane" e qui, focalizzata a restituire il paesaggio interiore del protagonista. Con rigore bressoniano ("Il diario di un curato di campagna" è stata una delle opere tenute in conto dal nostro cineasta) Schrader fa dell'inquadratura (come nel caso de "Il figlio di Saul" di formato ridotto rispetto al normale) uno spazio dell'anima dove le architetture degli interni, disagevoli e angusti, la morfologia del paesaggio naturale, scarnificata e desolante, e la tonalità di luce, livida e opaca nelle riprese in esterni, immersa nel buio quando ci si sposta nelle stanze della canonica, diventano gli elementi della geografia psicologica ed emotiva che inerisce allo stato di prostrazione vissuto dal protagonista. A stupire non è tanto la capacità di Schrader di fare buoni film quanto il modo con cui è tornato a farlo. Clamoroso e ineccepibile come forse non gli era successo nella sua carriera di regista. Per "First Reformed" Hawke si candida al premio di migliore interprete del concorso ufficiale, Schrader e il film a quello delle rispettive categorie.
Carlo Cerofolini
(publblicato su ondacinema.it)

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