sabato, giugno 11, 2016

L'UOMO CHE VIDE L'INFINITO

L'uomo che vide l'infinito
di Mat Brown
con Dev Patel, Jeremy Irons, Devika Bhise
USA, 2015
genere, drammatico
durata, 108'


Nell'India coloniale del 1912, il giovane matematico autodidatta Ramanujan decide di inviare a un illustre professore inglese, G.H. Hardy, le sue recenti scoperte. Fermo e ostinato nel suo lavoro, dopo l'invito del docente a recarsi al rinomato Trinity College di Cambridge, Ramanujan parte per l'Inghilterra contro il volere della madre, lasciando la sua terra e il suo amore, la moglie Janaki. 
"L'uomo che vide l'infinito" non è soltanto la storia di una mente geniale che supera le barriere della rigidità accademica: la sua è una vera propria rivoluzione, incisiva, anche se piccola. Le scoperte di Ramanujan, in effetti, storicamente contribuirono a creare la base per gli studi sulla teoria delle stringhe e dei buchi neri, compì un'impresa verso l'infinito. Privo di metodo, il suo approccio alla matematica si distingue dai canoni dell'ambiente del Trinity College e viene considerato poco convenzionale. Ramanujan è istintivo, puro, privo di sovrastrutture accademiche: il suo criterio di indagine sembra avere più a che fare con il trascendente e con la spiritualità tipica del suo paese di origine che con l'austerità del college inglese. Grazie alla guida del mentore e amico Hardy, un personaggio eccentrico e fuori dagli schemi, impara il metodo che gli servirà per portare avanti il suo lavoro, le più volte citate "dimostrazioni", e verrà accettato da un ambiente inizialmente molto ostile. 

Il film di Michael Brown ha due linee narrative, ponendo l'accento sulle relazioni tra Ramanujan e Hardy e tra Ramanujan e l'Inghilterra. La figura del suo maestro rappresenta l'anello di congiunzione tra i due mondi. Hardy è, infatti, un personaggio non conforme alla società del tempo, è un pacifista e un uomo moderno, antiaccademico e, non a caso, molto amico di Bertrand Russel. Sarà proprio lui a proporre di assegnare l'incarico accademico a Ramanujan, cercando ndi far apprezzare da tutti l'importanza del suo lavoro, ma anche di iniziare un processo che esorti il paese colonizzatore a guardare al colonizzato come un suo pari. 

Se con Hardy è facile costruire un rapporto egualitario, che si trasformerà, poi, in una profonda amicizia, con il paese che lo sta ospitando Ramanujan deve faticare molto di più e servirsi di un tramite inglese per farsi accettare. Il processo raccontato in questo film cela un sottotesto che rimanda al discorso coloniale, anche se in maniera molto sfumata. Questo aspetto emerge chiaramente nel momento in cui la pellicola si sofferma sugli sguardi e gli atteggiamenti avversi che gli inglesi rivolgono allo straniero. Ramanujan viene deriso per i propri abiti, chiamato straccione, picchiato da soldati dell'esercito, diventando oggetto di sfogo per la sua diversità, nella cornice di un Paese distrutto e messo in ginocchio dalla guerra. 


Il regista preferisce calcare la mano sui momenti più toccanti, servendosi di un'estetica artificiosa e manierata, come nella scena di Janaki in penombra all'interno del tempio, e utilizzando anche musiche molto enfatiche, nel tentativo di porre l'attenzione sull'elemento melodrammatico.
Riccardo Supino

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