lunedì, maggio 02, 2016

THE DRESSMAKER - IL DIAVOLO E' TORNATO

The Dressmaker - il diavolo è tornato
di Jocelyn Moorhouse
con Kate Winslet, Liam Hemsworth, Hugo Weaving
Australia, 2015 
genere, drammatico
durata, 118'



Redimersi da un passato obliato, recluso nei meandri del proprio subconscio per paura di un suo possibile ritorno. Ripercorrere i sentieri abbandonati dopo l’infanzia per cercare di dare un senso alla propria vita, ricostruire il proprio puzzle esistenziale e costringersi a riallacciare i rapporti con un mondo ormai lasciato alle spalle. Tilly torna nel suo piccolo paesino dell’Australia con un’irruenza tale da destare più di un malumore nell’ambiente regredito e stantio, in quella comunità che l’aveva colpevolizzata ed allontanata dai propri affetti. La sua femminilità ne precede l’arrivo, il suo fascino travolgente spiazza chi l’ammira. La donna distrae e arricchisce in vitalità un gruppo sociale ormai spento, assimilato nella visione registica di Jocelyn Moorhouse ad un anfratto nordamericano non troppo avulso dalle bistrattate lande del vecchio west, popolato da esseri sfioranti il grottesco nel proprio goffo tentativo di continuare ad alimentare un vigore ormai estinto. L’abito non fa il monaco, ma l’adagio mal si applica alle curve della Winslet che, supportate da un comparto costumi quanto mai felicemente in essere, conducono alla perdizione momentanea un discreto numero di compaesani, inducendo le proprie consorti a rifornirsi di abiti proprio dall’umiliata figlia della pazza Molly. The Dressmaker è un film cucito sulle doti corporee ed attoriali della Winslet che stupisce in entrambi i casi, regalando una performance carica di pathos e sensualità che ben si abbina alla prestanza di Liam Hemsworth, sfortunato spasimante. Tilly fa ritorno in una notte del ’51, annunciandosi con fare guerresco e mostrando sin da subito gli artigli con i quali difenderà il proprio percorso di redenzione personale. 


Ricondotta la madre sulla retta via e riappacificatasi con essa, la donna apre il proprio atelier nell’iniziale indifferenza della popolazione femminile locale, collezionando piccoli indizi che la possano condurre alla riabilitazione conoscitiva del proprio, oscuro, passato. La galleria di personaggi che la affiancano in questa indagine è paradossale, ricca di spunti comici tali da rendere il film una gradevolissima commedia nera, per lo meno nella prima parte. Il tono si mantiene spensierato, tra alti e bassi, sino a punte di humour nerissimo, per tutta la durata, virando verso il drammatico in pochi momenti e non necessariamente cambiando registro in modo drastico, ma scostandosi leggermente di binario e limitando i sussulti del vagone narrativo. Tilly riveste a nuovo, sia negli abiti che nella mentalità, un’intera generazione di bisbetiche pettegole, tutte a loro tempo più o meno coinvolte nell’allontanamento dell’allora bambina dal nido genitoriale per il presunto omicidio di un suo coetaneo, raccogliendo una vendetta personale lenta ma incisiva. Diviene parte integrante della collettività, si sostituisce alla sarta del paese nei lavori creativi e si lascia trasportare in una storia d’amore che la condurrà nuovamente in un baratro senza via di fuga. 

Le paure e le denigrazioni riaffiorano nuovamente nelle menti delle clienti, i pregiudizi di allora tornano attuali e la donna vede crollarsi addosso il mondo che con fatica aveva tentato di ricostruire. I mattoni si sgretolano e lasciano esposto lo scheletro di un edificio che, seppur ristrutturato di recente, ora versa in macerie similmente al suo passato. Tilly è giunta all’apice della propria espiazione e la fase successiva di ogni vertice è l’inesorabile declino, poiché il destino infausto riserva sempre qualche amara sorpresa, danneggiando irrimediabilmente i piani precedentemente organizzati.  La miglior cucitrice di abiti della provincia australiana vi saluta, bastardi.
Alessandro Sisti

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