martedì, maggio 24, 2016

NELLA SOCIETA' DELLO SPETTACOLO: MONEY MONSTER


  


Si può ancora rimanere sorpresi dalla visione egocentrica con cui Hollywood si misura con i problemi della contemporaneità? Conoscendo la vocazione della parte in causa certamente no perché, oltre ai soldi, se c’è una cosa che sta a cuore alla mecca del cinema è proprio quella di concepire i film come un mezzo per alimentare il proprio mito, anche a costo di sacrificare la verosimiglianza e la plausibilità delle sue storie. Eppure il potere affabulatorio e la retorica dei buoni sentimenti che ne costituiscono l’architettura narrativa è talvolta così persuasiva da farci abbassare la guardia rispetto alla reale natura dei suoi prodotti che, in alcuni casi, appare sinceramente interessato al destino delle persone comuni e più in generale alle sorti dell’intera umanità. “Money Monster”, diretto da Jodie Foster e interpretato da due star planetarie come George Clooney e Julia Roberts costituisce il perfetto esempio di questa mimesi cinematografica. A fare la differenza in questo caso non è la corretta applicazione dei fondamenti del genere thriller che la Foster, memore dei trascorsi sul set de “Il silenzio degli innocenti”, dimostra di saper governare sia in termini di ritmo che di tensione. 

Perché il rapimento della star di uno show televisivo dedicato all’economia, tenuto in ostaggio all’interno dello studio di registrazione dall’uomo che lo ritiene responsabili delle sue disavventure finanziarie, si muove sullo sfondo del paesaggio che incorniciava le vicende di ”Margin Call” e de “La grande scommessa”, affrontando, uno dei temi più scottanti del nostro secolo. A differenza di altre volte però, ed è questo il nocciolo della questione , le disfunzioni del sistema e le sue ricadute all'interno della società  vengono raccontate per la prima volta dal punto di vista di chi e' escluso dalle stanze dei bottoni. E quindi non  solo di quella di Kyle, il giovane disperato che vuole denunciare pubblicamente e attraverso le telecamere del programma presentato da Lee Gates, che più o meno direttamente lo ha indotto a sbagliare consigliandogli di investire sul pacchetto azionario difettoso, ma anche degli spettatori, catapultati in veste di risparmiatori in un contesto che li riguarda da vicino. 

Nella volontà di dimostrarsi sincero il film si gioca le sue carte in termini di sceneggiatura attraverso il mea culpa di Gates, il cinico conduttore impersonato da Clooney che, prima per paura e poi per convinzione, decide di aiutare il suo persecutore nel tentativo di incastrare l'autore del misfatto; affidando a Clooney  e alla  sua immagine d’attore socialmente impegnato  il compito di farsi testimonial del messaggio promulgato dal film. La coerenza del percorso psicologico dei personaggi combinato al carisma di attori e regista fanno il resto per un quadro complessivo che funzionerebbe a meraviglia se non ci fosse da fare i conti con la decisione di inserire l’epilogo in cui ritroviamo i personaggi di Clooney e della Roberts ancora sottosopra per la tragica conclusione della vicenda ma comunque pronti a mettersi tutto alle spalle e a ricominciare a lavorare come se nulla fosse successo. Pur breve, la scena ha un peso decisivo nell’economia del film in virtù di un lieto fine che, rispondendo unicamente alle ragione del box-office, sconfessa in un sol colpo i sentimenti di solidarietà e di misericordia fin lì manifestati, facendo nascere il dubbio che le invettive anti-capitalistiche e l’antagonismo a tutto campo altro non erano che un motivo per fare spettacolo e per tacitare le ansie dello spettatore,  normalmente tranquillizzato dalla visione delle disgrazie altrui. A riguardo qualcuno potrebbe obbiettare che la scena in questione è troppo corta (non più di qualche minuto) per congelare la valenza delle immagini che l’hanno preceduta ma qui non si tratta di mettere in forse l’efficienza della macchina filmica quanto piuttosto di smascherare le ragioni di un’ urgenza più fittizia che reale, legata al contingente per l’opportunità offerte dalla popolarità dell’argomento. Il motto è sempre quello: The Show Must Go On. A Hollywood come nel resto del mondo.

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