lunedì, maggio 25, 2015

AVENGERS: AGE OF ULTRON


di: J.Whedon.
con: R. Downey jr., C.Evans, C.Hemsworth, S.Johansson, M.Ruffalo, J.Renner,
E.Olsen, A.Taylor-Johnson, P.Bettany, J.Spader, S.L.Jackson.
- USA 2015 - 140 min

"Your mojo will have no effect,
as we head into tomorrow".
- P.Weller -

Forte di una solidità finanziaria conquistata con sistematica applicazione, pertinacia che ad oggi la equipara, più o meno, ad una multinazionale di media grandezza (quest'ultimo "Avengers/age of Ultron" - tassello di una galassia in apparente continua espansione - già veleggia dove l'aria e' sottile e si misura in dollari con otto, nove zeri), la Marvel, oramai non più Comics, o non solo ma coerentemente e prepotentemente Productions e Studios, si e' inserita in via definitiva all'interno di quella declinazione terminale dell'eterno-ritorno-dell'uguale che caratterizza la condizione di agonia differita di una Cultura, quella Occidentale, al punto di rappresentarne una delle varianti più tipiche.

Le avventure dei paladini-in-costume o, come si diceva un tempo, dei "supereroi con super problemi", infatti, sono state rese via via assimilabili a viscere e a fantasie tanto disparate quanto ricettive al generico richiamo dello stupore, dei grandi intrighi e dell'azione, recuperando in parte ciò che si perde in originalità e aderenza ad una logica precisa perché corrispondente ad un mondo omogeneo e autosufficiente, in diffusione su scala vastissima e ricaduta capillare, in linea con la prassi di una sorta di neo-colonizzazione. Conseguenza diretta di questo decorso graduale e forse (?) inevitabile, e' stata la serializzazione globale delle vicissitudini di un pugno di individui speciali, quasi tutti ideati a ridosso della stagione delle ultime utopie da matite geniali perché innanzitutto appassionate e anticonformiste. Di stratificazione in stratificazione - dei, semi-dei, mutanti, geek in cerca di rivalsa, surfisti argentati, super-soldati, esperimenti sfuggiti di mano, ragazze invisibili, idealisti dai sensi iper-acuti, et. - i personaggi Marvel punteggiano delle loro acrobazie e della loro abnegazione (o, al contrario, desiderio di distruzione) il paesaggio condiviso di una proiezione fantastica allo stesso tempo potenzialmente senza limiti e saldamente ancorata ad un ingranaggio di sfruttamento commerciale che ne vincola l'esistenza, nella gran parte dei casi, alle cadenze inesorabili della reiterazione.

A tale consustanziale paradosso non deroga nemmeno una delle costole principali di un già possente torace, per l'appunto quella degli Avengers, qui giunti alla loro seconda prova di resistenza (al botteghino), mantenuti vieppiù in assetto dall'intero cast dell'esordio, a cui va aggiunta qualche nuova entrata (P.Bettany/Visione, la più seducente) e dalla mano - più avvezza che ispirata - di Joss Whedon, ad orchestrare con usuale e diligente disinvoltura, non esente pure da qualche preziosismo (sapida, sebbene prevedibile, la vorticosa sequenza di apertura uncut), le peripezie dell'intreccio, atte a trascinare, ora di concerto, ora in siparietti singoli, in verità quasi dimessi e chissà quanto scientemente caricaturali (uno per tutti: la parentesi agreste, con tanto di famigliola apprensiva, nel micro eremo di J.Renner/Hawkeye), i componenti storici della formazione: R.Downey jr./Iron Man - perigliosamente al limite del minimo sindacale la resa del suo magnate-spaccone, in eterno bilico tra sarcasmo sornione e affabulazione manipolatoria -; C.Evans/Cap.America; C.Hemwsorth/Thor; S.Johansson/Natasha Romanoff-Vedova Nera; M.Ruffalo/Hulk, a cui si affiancano i fratelli potenziati A.Taylor-Johnson/Pietro ed E.Olsen/Wanda Maximoff, altrimenti noti come Quicksilver e Scarlet Witch.

D'altro canto, il fascino teorico e a suo modo sublime dell'insidia di turno - Ultron/J.Spader, programma senziente alla ricerca spasmodica di un corpo da cui far rifulgere la propria magnificenza visionaria, tradito, nelle premesse, da uno svolgimento che ne diluisce il portato piegandolo alle mere esigenze di una contrapposizione Bene/Male esperita nella sua quasi totalità per via muscolare, scelta fin troppo sintopica, a ben vedere, a dispetto della sua ovvia frenesia di superficie; e da una nemesi narrativa che finisce per intrappolarne il dissidio, in nuce sconvolgente, nella genesi della Visione, specie di alter ego disilluso ma dalla parte giusta della barricata - si stempera presto in una trattazione che pone l'incognita dell'intelligenza artificiale, della malleabilità/disponibilità dei corpi, ossia della loro non scontata familiarità con l'entità inorganica - il metallo - sul piano anodino e, se vogliamo, conservatore, della responsabilità umana circa il suo più o meno consono utilizzo, smarrendo quasi sul nascere tutta una serie d'implicazioni interessanti/inquietanti riguardo un altro modo d'intendere questa materia esotica e la sua, per dire, volontà di potenza, istinto di morte, piacere tattile del contatto col mondo fisico, nostalgia di un passato mai vissuto eppure pre-sentito, et... Bivio questo che, in ogni caso, sollecita considerazioni di carattere estetico inerenti la matrice di oggetti filmici inclini a raccontare incarnandolo un processo di gemmazione dell'immaginario collettivo, chiamando in causa, con declinazioni diverse, il rapporto che vincola l'umano all'organismo tecnologico, lo stato attuale della loro ibridazione o resistenza a diventare l'uno parte non secondaria dell'altro. A dire: ciò che nella visione di M.Bay, ad esempio, spinge sulla stilizzazione di un universo meccanico già ampiamente consapevole non solo della propria indipendenza - se non autentica primazia nei confronti della civiltà sapiens - ma persino della propria carica seduttiva (nelle forme, nei colori, nelle ricercate ridondanze), al limite di quell'erotismo trans-umano già scandagliato a dovere da Cronenberg e qui non di rado convogliato su sfiziose coordinate auto-parodistiche; nella versione di G. del Toro si assesta, invece e di un tanto, sulla stasi promiscua in cui Uomo e Macchina si alternano nel ruolo di protesi reciproche ma ancora non si fondono; in Whedon, posto l'indizio dirimente (che proprio l'antagonista Ultron coglie da subito), cioè l'attrazione fisica tra il super-metallo - il Vibranio - e la cellula organica, la carne, ripiega - per ora, almeno - sulla soluzione compromissoria (e consolatoria) di una ennesima variante (Visione) sostanziata dall'integrazione di un software benigno (il Jarvis doppio immateriale di Stark/Iron Man) e addirittura un composto alieno (una delle Sei Gemme dell'Infinito, qui estratta dallo Scettro di Loki, dall'indicibile potere e che diverrà sicura materia del contendere nei futuri sviluppi delle traversie dei nostri).

Innegabile, come che sia e tornando al film, la tenuta ritmica dell'insieme, in cui l'alternanza fra pause meditative o leggere, inevitabili intermezzi esplicativi (al solito, la trama pur semplificata, può risultare farraginosa e indifferente a coloro che hanno poca dimestichezza col comparto supereroistico) e combattimenti - gli effetti sono a cura della ILM - si rivela comunque in grado di rilanciare di continuo la propria orologeria ad incastro, ingenerando una qual aspettativa e, di conseguenza, alimentando il gradiente della tensione. Per il resto, aspettiamo il prossimo capitolo, notando di sfuggita ma con curiosità e a parziale sostegno di quanto detto, la composizione marmorea a mo' di "Trionfo degli Eroi" carezzata da un movimento avvolgente della mdp sui titoli di coda, a ribadire la vocazione a tutt'oggi prevalentemente classica di uno sguardo su qualcosa che (forse) non c'è ancora ma il cui respiro e strano splendore già screzia l'aria.

TFK

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