martedì, dicembre 02, 2014

I RAID LETALI DI G.EVANS


Gareth Evans e' un simpatico giovanotto (classe 1980) - robusto, occhi vispi e barbetta rada - che un giorno ha preso armi e bagagli, mollato il natio Galles e fatto il salto al contrario, ossia percorso la distanza che lo separava dalle brughiere all'Est del mondo. Nello specifico, l'Indonesia, dove, tra l'altro, oltre a prendere moglie, ha perfezionato lo studio di un'antica arte di combattimento locale, il Silat, arrivando col tempo a coniugarlo con un'altra passione, quella del Cinema.

Dopo "Merantau" (2009), colorato romanzo di formazione e iniziazione marziale, interpretato da colui che sarebbe diventato la sua proiezione cinematografica - Iko Uwais - ecco che Evans, tra il 2011 e il 2014 scrive, produce e dirige il distico (ad oggi) di "The raid": "The raid/redemption" e "The raid II/berandal", centrati sulla figura del poliziotto Rama (Uwais, appunto) chiamato ad opporsi, in gran parte grazie alle sue eccezionali capacita' atletiche, alle insidie di un mondo cupo, violento, all'apparenza senza vie d'uscita - assediato da livide luci grigie, ocra, bluastre - in cui il crimine la fa da padrone e la corruzione alligna pressoché indisturbata tra le file delle forze dell'ordine.

Caratteristica primaria di "The raid" I e II e' la strepitosa matrice dinamico-estetica degli scontri secondo le figure e i ritmi - a volte parossistici - del Silat (e di altre specialità ad esso frammiste: dal Judo alla Lotta Libera, al Taekwondo, et.), tecnica che prevede l'utilizzo armonico e in sequenze rapide di pugni, gomiti, ginocchia e piedi in relazione alla loro efficacia, non di rado micidiale, su giunture e tendini.

Adagiati su intrecci convenzionali - più lineare quello di "The raid/redemption", che prevede l'irruzione di una simil SWAT in un caseggiato fatiscente al cui ultimo piano dimora e dispensa ordini Tama (Ray Sahetapy, perfettamente a suo agio nel calibrare il pendolo emotivo tra gli estremi del distacco e della crudeltà), boss dai modi tanto felpati quanto feroce negli scatti d'ira, secondo una logica a meta' strada tra l'assedio carpenteriano di "Distretto 13" (sebbene a parti invertite) e l'esasperazione della partitura classica di un videogame action, condizione di partenza/eliminazione degli ostacoli/livello successivo (ben esplicitata dalla necessita' di passare da un piano all'altro dell'edificio/fortezza); più costruito e un tanto farraginoso quello di "The raid II/berandal", azzardo d'incastri in cui Rama/Uwais si barcamena (e lotta) sul filo di una pericolosa missione sotto copertura nei gangli delle organizzazioni criminali, allo scopo di sgretolarle dall'interno - i due film di Evans hanno il pregio di giocare pressoché da subito a carte scoperte, ossia disponendosi in modo che le trame non disturbino troppo - o vadano ad integrarsi col minimo attrito, e' un fatto di punti di vista - gli scatenati combattimenti, sorta di controllatissima girandola a base di frenesie cinetiche, applicazione, riflessi e resistenza (innumerevoli i ciak relativi agli schemi dei duelli uno-contro-uno o di gruppo, nel tentativo di trasformare progressivamente la frizione degli urti nella fluidità quasi astratta di una coreografia), applicata ad un tappeto narrativo di brutale evidenza, fulmineo ed imprevedibile nelle singole circostanze, sebbene all'interno di un meccanismo che si avvale di stereotipi ampiamente collaudati.

Evans - appassionato di eroi storici del Cinema orientale, da Bruce Lee a Jackie Chan, a Jet Li, e di autori come John Woo (ma alcune soluzioni drastiche evocano Park Chan-wook e la sua "trilogia della vendetta") che hanno contribuito alla codificazione di stili e di modelli ad alto tasso adrenalinico via via entrati a far parte dell'immaginario comune - non nasconde le sue predilezioni (costruzione serrata del ritmo; messinscena essenziale; attenzione pignola ai dettagli delle mosse e delle acrobazie; rappresentazione della forza-al-lavoro ma in ragione di una prassi talmente fulminea e paradossale da sopire sul nascere fraintendimenti circa la cosiddetta "estetica della violenza") e i suoi debiti (l'eroe e' per antonomasia solitario, inviso alle alte sfere, scarsamente loquace, con il punto debole rappresentato dal nucleo familiare esposto alle ritorsioni conseguenti alla sua integrità professionale; il Male e' incistato talmente a fondo nella struttura sociale e nel cuore dell'uomo da formare un tutt'uno per cui diventa quasi impossibile distinguere chi se ne serve da chi afferma di contrastarlo; la realtà e', per lo più, un groviglio di pulsioni distorte e di finalità inconfessabili, chiusa su se stessa, piena di chiaroscuri e d'inganni, la cui prospettiva di redenzione si allontana ogni giorno di più, et.). Asseconda le prime, in sostanza, e prova a trar frutti dai secondi. "The raid" I e II dicono che e' riuscito a venire incontro ad entrambi.

TFK

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