mercoledì, maggio 28, 2014

PRO E CONTRO: MAPS TO THE STARS


Maps to the Stars
di David Cronenberg
con Julian Moore, Mia Wasikowska, Robert Pattison, John Cusak, Evan Bird
Stati Uniti d'America, Canada, Francia, Germania
genere, drammatico
durata, 95'




PRO

Benjamin è un attore/bimbo prodigio di successo, il padre è uno psicologo/chiropratico che ha in cura un’attrice in cerca di successo, che a sua volta prenderà a lavorare come propria inserviente una ragazza sfregiata da orribili ustioni; quest’ultima si innamorerà di un autista di limousine, in realtà aspirante attore (interpretato da Robert Pattinson, quasi ormai attore  feticcio del regista de “Il pasto nudo”).

Cronenberg porta in scena una trama complicata e disvelata in una sceneggiatura senza picchi poetici, volutamente inserita nella diegesi di un mondo, quello delle stelle hollywoodiane, che paradossalmente tutto fa, tranne che brillare nelle rispettive dimensioni private dei personaggi (a sottolineare il tutto una fotografia da tipico immaginario del mondo VIP  losangelino ). Nel suo nuovo percorso sperimentale, l’autore riprende in parte il discorso cominciato con Cosmopolis, e lo relega alle bassezze di uomini drogati dallo spettacolo, accentuando all’estremo le psicosi dei personaggi, che trovano il martoriamento più grande nel ritorno, inevitabile, dei fantasmi del passato, tra allucinazioni e realtà che decostruiscono l’impero mentale di ognuno. Il fuoco diventa l’elemento archetipico che muove la narrazione, tatuato attraverso le ustioni sul corpo di Agatha Weiss, personaggio più ansiogeno, inquietante e Cronenbergiano della pellicola. 

 
David Cronenberg è tra i pochi autori che, dopo una filmografia che ha regalato tanti capolavori (abbiamo citato prima “Naked lunch”), non si ferma e continua a sperimentare (similmente a Martin Scorsese, che ha spaccato la critica in due col recente “The wolf of wall street”), muovendo, in questo caso, burattini nel teatro microcosmico che è Hollywood. E se tutto questo per gli amanti del suo vecchio cinema può risultare un’operazione ectoplasmatica di un artista grande solo in passato, o peggio un’altra inutile invettiva contro il fallimento del sogno americano, Maps to the stars in realtà reinventa  le cifre stilistiche di un sofista della cinematografia che, in questo caso, se non ha centrato il capolavoro, lo ha quantomeno sfiorato.
Antonio Romagnoli




CONTRO



Hollywood brucia e con lei quello che resta del sogno americano. Una favola nera che il cinema è abituata a raccontarsi per esorcizzare i fantasmi di una crisi che gli appartiene ancora prima di quella che ha colpito il resto del mondo. Annunciata dai guru della comunicazione, la morte della settima arte è diventata, alla pari di altre storie, materia di spettacolo, venendo meno alla sua carica eversiva. A ricordarcelo ci aveva pensato non più di un anno fa Seth Rogen che, nel blockbuster "Facciamola finita" trasformava la mecca del cinema in una Sodoma e Gomorra tutta da ridere, con attori e registi spazzati via per eccesso di egoismo. Questo per dire di un eversione talmente frequentata da diventare normale,  e di una trama- quella di "Maps to the Stars" incentrata su una famiglia votata al Dio spettacolo - simile a quelle che l'hanno preceduta, con vizi privati e pubbliche virtù mostrati allo spettatore in un trionfo di grettezza e scabrosità. A fare la differenza nel film di Cronenberg non è quindi la novità dell'escursione antropologica, ne tantomeno il carosello di deviazioni che testimoniano il prezzo da pagare ai meccanismi dell'industria cinematografica; come dimostra in maniera agghiaggiante la visita alla bambina malata da parte di Benjie Weiss (un inquietante Evan Bird, autentica rivelazione), baby star affetto da problemi di tossicodipendenza, oppure, tornado al mondo degli adulti, l'atteggiamento di Havana Segrand (interpretata da una Julian Moore disperata e schizofrenica almeno quanto la Cate Blanchett di "Blue Jasmine"), diva sul viale del tramonto che senza remore, e con molto cinismo, trae vantaggio delle disgrazie altrui. A essere impareggiabile è invece la dimensione di straniamento, e poi il distacco con cui il regista canadese si rivolge ai personaggi.
Sospendendo il giudizio e operando da entomologo, Cronenberg mette in scena un teatro dell'assurdo, popolato da creature grottesce e inermi, destinate per natura all'autodistruzione. Macerie di umanità in cui ritroviamo intatta la poetica dall'autore, a incominciare dalla virulenza del corpo fisico, presente nel film attraverso il peccato originale che il personaggio di Agatha Weiss (Mia Wasikowska) si porta dietro fin dalla nascità, e che non a caso entra in campo in occasione della morte del bambino della collega di Havana, vittima innocente di una contaminazione che da li in poi non risparmierà nessuno. E poi nell'assoluta alterità delle dinamiche relazionali, deformate dal ghigno perverso e obbliquo del regista, pronto a giocare con perbenismo e buone maniere, sbeffeggiate da sequenze come quella della conversazione "escatologica" tra Benjie e il suo amichetto, e dalla scena di Havana intenta a dare ordini alla sua assistente dal water su cui sta defecando. Un gran guignol di sangue e dissolutezze, raffreddato dall'equilibrio geometrico di inquadrature che trasformano le pulsioni della carne in sinapsi cerebrali.
Dopo gli esperimenti metalinguistici di "Cosmopolis" Cronenberg torna sulla terra sporcandosi le mani con un copione volutamente "basso", in cui situazioni e dialoghi (da soap opera) dovrebbero essere il propulsore per una visione decante dell'esistenza umana.  Lungi da essere un'opera compiuta "Maps to the Stars" sembra più il frutto di un cambiamento ancora in corso, e di una ricerca di alternative in via di definizione. Lo si intuisce dalla risposta dell'autista, interpretato da Robert Pattison che, alla domanda di Havana sui particolari della sua vita sessuale, si disimpegna con un'affermazione - "sto sperimentando" - che sembra il manifesto programmatico di un autore impegnato a riformulare il suo cinema.
nickoftime

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