mercoledì, febbraio 19, 2014

"SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO" (I)



"Scorrete lacrime, disse il poliziotto" I


Volessimo desumere una valutazione circa lo stato attuale di alcune tensioni interne alle moderne società occidentali, statisticamente benestanti, iper-tecnologiche, come si suol dire "post-tutto", riferendoci solo alle linee guida tracciate da alcune pellicole recenti riconducibili al "noir" - a dire, "Rampart" (2011) di O.Moverman; "End of watch" (2012) di D.Ayer e "Prisoners" (2013) di D.Villeneuve - ci sarebbe da stare sul serio poco allegri. Pur tenendo, infatti, nella giusta considerazione l'assunto per cui un "genere" come il "noir", almeno quello di più robusta tempra narrativa ed estetica (lasciando di proposito da parte le serie televisive, alcune delle quali in grado di rimodellarne i canoni; restando al Cinema, cioè, e precisando che sarebbe più corretto parlare di "sfumatura", in generale di "stile", essendo "noir" un modo di vedere la realtà che attraversa trasversalmente tutti i generi, più che un genere in se') e' per sua stessa costituzione tutt'altro che conciliante con la materia che maneggia - ossia, il più feroce "qui e ora"; la struttura sempre più sfuggente dei meccanismi sociali che influenzano l'uomo contemporaneo al punto, spesso, da non concedergli scampo; i percorsi ambigui ma comunque disperati della violenza; l'insidioso senso di estraneità nel cuore della presunta familiarità del "paesaggio fisico" (di preferenza metropolitano) in perenne trasformazione - il panorama materiale ed emotivo descritto anche nelle tre opere prese in considerazione, con tutte le differenze espressive e le modulazioni di tono del caso, non sfugge alla mesta categoria del "desolante".

Un dato in particolare s'impone, poi, in ognuno dei tre episodi di questa immaginaria trilogia, e con la forza della più spiccia evidenza: ed e' che la "Polizia" ("LAPD !", come esclama un esterrefatto Pacino in "Heat" al momento di accorgersi di essere - lui, il segugio per "statuto" - oggetto dei tampinamenti della "preda" De Niro: ecco già una torsione di prospettiva) tende ogni giorno di più a confondersi con una specie di "esperimento sociologico (dagli esiti dubbi) sulla simulazione del controllo" anziché reiterare i tratti di una vera e propria forza d'interdizione nei confronti - latamente, dell'impetigine criminale - in senso stretto, di tutte quelle spinte ed interessi auto-referenziali che la percezione di massa, grossolana quanto si vuole ma incidente appunto perché corposa nei numeri, vuole ormai pressoché ingestibili. Pur essendo i film in questione oggetti capaci di rivelare singolarmente pieghe rituali del (non) genere "noir" - quella "procedurale" per "Prisoners"; quella "esistenziale" per "Rampart"; quella, diciamo così, schiettamente "suburbana" per "End of watch" - resta vero che nella trama complessiva delle loro storie emerge e si dipana (o s'ingarbuglia ancora di più, chissà) quel filo rosso al quale si e' accennato nella affine rappresentazione "terminale" dello sporco-lavoro-dello-sbirro e, in controluce, dell'idea di Giustizia che ad esso sottende o, a questo punto, "dovrebbe"/" avrebbe dovuto" sottendere.

E ciò per tante e varie ragioni che possono essere con una certa approssimazione circoscritte entro i limiti di due, tre punti ineludibili. Innanzitutto, l'aumento esponenziale della pressione del crimine dentro l'organismo delle società cosiddette affluenti, ingenerata e alimentata - molto sbrigativamente parlando - dalla diffusione di modelli e stili di vita fondati sul parossismo dei binomi interscambiabili denaro/potere, successo/fallimento, senza tregua riformulati dall'innovazione tecnologica che, rendendone sempre più sofisticate le combinazioni satura, al momento di forzare il "gioco" nell'illegalità, la già evidente sproporzione di mezzi tra la "convenienza a delinquere" e i sempre più arrancanti "tutori dell'ordine". In secondo luogo ma in stretta correlazione, il montare silenzioso eppure inesorabile di un sentimento di sfiducia nei confronti delle "procedure" e dei "sistemi" adottati per disinnescare le conseguenze di quella "pressione" (e tralasciando l'atteggiamento tenuto dai "media" circa l'operato speso sul sentimento di cui sopra che meriterebbe una trattazione a parte), nel migliore dei casi giudicati insufficienti; nella gran parte degli altri, discriminatori (non di rado a seconda del lignaggio sociale dei coinvolti), o, addiruttura, repressivi, ciecamente vessatori, in relazione alle circostanze in cui - e non sono poche - viene travalicato il sempre dibattuto "uso legale della forza", oppure ci si arrabatta in manovre dilatorie per rimuovere con astuzia dalla memoria collettiva (o illico et immediate insabbiare) episodi di corruzione. Ed infine - ma non di poca importanza - il diffondersi subdolo ma pervicace di una sorta di "zeitgeist" - post-moderno ?, post-ideologico ? - in base al quale una certa scaltrezza, la volontà (ma le si possono riconoscere le sembianze della "affermazione di se' come maledizione") di esserci, di stare-al-mondo come e più di prima, adattandosi senza indugio e senza scrupoli ai suoi cambiamenti - tipo un super istinto di auto-conservazione che fa strame delle residue restrizioni imposte dalla presenza di un "patto sociale" - e che solo ieri o ieri l'altro avrebbe isolato fattispecie di comportamento in bilico sulla costola o ben dentro il Codice Penale, adesso viene vissuta se arginata dalla Legge quasi nella dimensione di una intollerabile prevaricazione sulla "libertà di espressione personale" (per inciso, nessuno sa quanto di diretta o spuria emanazione del dettato pubblicitario/propagandistico che da decenni batte sull'esasperazione del desiderio nella formula buona per tutte le stagioni, "non ci sono limiti"), nei confronti della quale la mera presenza di un "Corpo di Polizia" appare non tanto inutile quanto insensata, e mentre s'assottiglia un giorno via l'altro la distanza tra quello che un tempo si soleva definire un "corpo separato" e ciò che viene sempre più vissuto come "corpo estraneo".

Tracce sparse di tali indizi si ritrovano in ognuno dei lavori citati, raccolte intorno ad un preciso denominatore comune: ossia la pervasività - nel concreto tante volte tragica, visti gli esiti più comuni - di una delle tendenze tipiche della "modernità", per cui alla definizione dell'identità personale concorre quasi esclusivamente il "ruolo" sociale che si ricopre, il tasso d'idoneità di un individuo all'esecuzione di una mansione. E quando si mostra scarsa aderenza a siffatto "ruolo" (incapacita', lassismo, infrazione) o ne viene messa in dubbio la legittimità (e quindi il "prestigio" e il "rispetto" consustanziali a questa legittimità), l'identità entra in crisi e s'avvia un processo magari lento ma inesorabile di distacco dalla realtà e da se stessi che nella fattispecie dello "sbirro", va da se', si arricchisce di un sovrappiù di spaesamento e frustrazione, vista anche, tra l'altro, la mai del tutto risolta contraddizione - troppo sbrigativamente data per archiviata - tra inclinazioni personali (mentalità, sensibilità, pregiudizi, debolezze) e la speciale possibilità di avvalersi del "monopolio legale della forza". Caso più eclatante e' di certo quello del Dave Brown/Woody Harrelson (perfetto) in "Rampart" di Moverman. Figlio della penna di un autore come J.Ellroy da anni interessato non solo ad evidenziare il marcio all'interno di un'Istituzione decisiva per il mantenimento del "patto sociale" ma pure, se non soprattutto, a scandagliare le profondità tormentate delle psicologie dei suoi rappresentanti, Brown e' un veterano di guerra e della strada: incline all'alcool, alle droghe, non insensibile al fascino femminile così come agli "arrotondamenti" facili e alla composizione spiccia e brutale dei problemi. Misantropo al midollo, e' un uomo solo: nessun amico vero, puntate solitarie ai bar, colleghi che lo temono per quanto tacitamente lo ammirano (tra le ossessioni di Brown c'è quella di non sprecare il cibo, cosa che non manca di rimproverare ad un agente al momento di consumare una pausa e che riscuote unanime plauso). Brown, in poche parole, e' una persona instabile, di certo non un "eroe del nostro tempo" ma neppure "un individuo senza importanza collettiva", che sta li', tutti i giorni, pattuglia il suo settore, si barcamena sull'ambiguo crinale che separa il poliziotto pluridecorato dalla "mina vagante del Dipartimento".

Ciò che colpisce, pero', nella sua vicenda, accanto ai caratteri accennati che, volendo, riconducono a cliché abbastanza consolidati, e' lo strappo decisivo che si apre nella sua vita allorquando le lacerazioni che già lo separano dal nucleo familiare e dalle poche persone che frequenta esterne al "Corpo", si allargano fino a diventare non "rammendabili". E' qui che Brown cede una volta per tutte ai suoi demoni. Quando le due ex mogli - tra l'altro sorelle (!) - passano nei suoi confronti dalla blanda degnazione al disprezzo aperto. Quando le figlie - una poco più che bambina - prendono a compatirlo o, alternativamente, a sbeffeggiarlo, al punto di chiudersi nell'atropia emotiva, nella muta perplessità che si riserva ai "fenomeni". O quando un vecchio ex commilitone del di lui padre nonché una nuova donna, illusione estrema di "normalità", orizzonte di un nuovo inizio, finiscono per abbandonarlo a se stesso. In sintesi quando, distruggendo la dignità, l'autorevolezza, la liceità teorica stessa del "ruolo", si arriva a corrodere l'"identità" della persona. Esattamente ciò che non succede, invece, se si analizza il rapporto di Brown coi superiori, i quali, cercando solo di espellere con lui (in fin dei conti per scopi auto-assolutori), l'"irregolare", la "testa calda", qualcuno, cioè, che magari getta discredito sul "ruolo" ma di fatto non lo nega o non lo nega del tutto, ne preservano l'"identità". Brown, infatti, alle accuse ufficiali risponde sempre colpo su colpo: gioca col Sistema al gatto col topo. Nei faccia a faccia si dimostra tenace e ferrato in materia disciplinare, almeno quanto l'interocutore che vorrebbe disfarsi di lui "legalmente". Oltrepassato il punto di non ritorno per Brown non c'è che la strada, il volante, ancora e daccapo, come in passato per il Travis Bickle scorsesiano. Deja-vu stravolto per una chiara allusione: il destino si compirà chissà dove e come, tra non molto. Ma non alla sbarra.

- parte prima -

TFK

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