lunedì, novembre 18, 2013

New Hollywood (10) APOCALYPSE NOW (2)


"Apocalypse now" II

di: F.F.Coppola.



- "Can you picture what will be/So limitless and free/Desperately in need... of some...stranger's hand/In a... desperate land" -



Avventurarsi nei meandri di noi stessi non e' dissimile dal risalire/ridiscendere un fiume. Soprattutto e' impossibile prevedere cosa si può trovare alla svolta di un'ansa, ai margini di un fondale basso, nell'intrico di una vegetazione particolarmente fitta. Decisivo e' essere pronti a misurarsi con delle sorprese. Qualunque tipo di sorprese. E magari avere intorno qualcuno: soli, potrebbe non bastare. Soli, ad esempio, come spiegare ? Come testimoniare ? Conrad: "Risalire lungo quel fiume era come viaggiare all'indietro nel tempo, verso i più remoti primordi del mondo, quando la vegetazione tumultuava sulla Terra ed alberi immensi stavano come imperatori. Una fiumana deserta, un altissimo silenzio, una foresta impenetrabile. L'aria era calda, spessa, pesante, torpida". Alla foce del fiume Nung (toponimo di comodo a celare l'identità del Mekong), su un vasto delta di acqua fangosa, la luce e' radente, dai pieni riflessi oleosi. La vegetazione non vede l'ora di sottrarre centimetri alla spirale liquida che s'addentra nel continente. Ancora Conrad: "Si fece scalo in qualche altro luogo dal nome farsesco, dove la gioconda danza del commercio e della morte procede in un'atmosfera greve e terrosa come quella di una catacomba infuocata: qua e la' tutta quella costa informe con la sua perigliosa frangia di risacca, quasi la natura medesima avesse cercato di respingere gl'intrusi; fuori e dentro fiumi, correnti di morte in mezzo alla vita, le rive dei quali si stavano corrompendo in mota, e le acque, addensate in melma, invadevano il dominio dei manghi contorti, che parevano divincolarsi verso di noi nel parossismo di una disperazione impotente". Willard torna sugli sviluppi recenti ("Accettai la missione.

Che altro diavolo avrei potuto fare ?"/["I took the mission. What the hell else was I gonna do ?"]), e guardandosi intorno fa il punto, a modo suo: "L'unico problema e' che non sarei stato solo.
L'equipaggio era formato principalmente da ragazzini fanatici del rock'n'roll già con un piede nella fossa. Il motorista, quello che chiamavano "Chef" (Jay "Chef" Hicks/F. Forrest) veniva da New Orleans. Era troppo nervoso per il Vietnam. Forse lo era troppo pure per New Orleans... Lance (Lance N. Johnson/S. Bottoms), addetto alla mitragliera di prua, era un famoso asso del surf delle spiagge di Los Angeles. Non si sarebbe mai detto che avrebbe usato un'arma in vita sua... "Clean" (Tyrone "Clean" Miller/un ancora adolescente L. Fishburne), il signor "Clean" veniva da qualche posto di merda del Bronx e credo che la luce e lo spazio del Vietnam lo avessero scioccato... Poi c'era Phillips (George "Chief" Phillips/A. Hall), il "Capo". La missione poteva essere la mia ma la barca era sicuramente del "Capo"" (una "PBR", Patrol Boat River, vedetta della Marina in plastica, di ridotte dimensioni, nelle intenzioni un mezzo di facile impiego e di scarsa appariscenza per il nemico). Nemmeno il tempo di girarsi che e' già ora di mettersi in posa per un'istantanea-ricordo di un attacco o per staccare il biglietto per un inaspettato carnevale di morte (Willard: "Quei ragazzi [la Cavalleria dell'Aria, I reggimento, IX divisione] non riuscivano proprio a stare fermi"/["Well... Air Mobile. Those boys just couldn't stay put"]).
"Elicotteri e gente che balza fuori dagli elicotteri, gente talmente invasata da correre per poter salire anche quando non c'era nessuna urgenza. Elicotteri che si alzano dritti sbucando da piccoli spazi sgombri nella giungla, che scendono oscillando verso le cime dei tetti della città, casse di razioni e di munizioni buttate giù, morti e feriti caricati su" - M.Herr, op. cit. - "E' possibile spettacolarizzare tutto ?" si/ci domanda Coppola allorché si appresta ad allestire la celebre sequenza relativa al bombardamento del villaggio di Vin Din Drop ("Come si chiama quel maledetto villaggio ? Din Rin... Dan Lap... Questi fottuti nomi sembrano tutti uguali"; "E' un posto cazzuto, quello.

E' una base di 'Charlie'... 'Charlie' non fa il surf !/["'Charlie' don't surf !"] [Kilgore/soldato]. La risposta affermativa alla suddetta questione scaturisce "spontaneamente" dalla piega presa dagli avvenimenti sul "teatro" vietnamita una volta messa in moto l'enorme macchina bellica made in USA e constatato ancora e in parallelo il ruolo del cinema di consumo come veicolo "pesante" della diffusione su scala mondiale dell'"american outlook on life" (ricordiamo - en passant - che la sequenza in oggetto, della durata di circa otto minuti, "costo'" cinquanta giorni di riprese contrassegnate da interruzioni di ogni tipo; requisizione degli elicotteri Bell HU-1, detti "Hueys", da parte dell'allora dittatore filippino Marcos; ripetizioni; cambiamenti in corso d'opera et...). A dire: migliaia di uomini; tonnellate di attrezzature; giganteschi apparati logistici; centri di raccolta, smistamento e analisi delle informazioni; strutture di supporto e rifornimento, rappresentano di per se' (tendenza finita ampiamente fuori controllo negli scenari guerreschi che hanno visto coinvolta nei tempi a venire la prima potenza economico-militare del pianeta) uno smisurato set in perenne allestimento/trasformazione, alle cui primarie (?) ragioni strategico/politiche non e' mai del tutto estranea la componente rutilante, fantasmagorico/auto-celebrativa: cioè proprio la fisionomia di uno spettacolo in piena regola, qualcosa che galleggia costantemente fra Hollywood, Disneyland e - come vedremo - Playboy. In tal senso, i numeri ufficiali del conflitto aiutano a delimitare la configurazione di un meccanismo/apparato davvero colossale: tenendo sempre a mente i non meno di 2 milioni di morti tra militari e civili in campo vietnamita, stiamo parlando di quasi 600.000 soldati USA impiegati nel conflitto al momento del massimo coinvolgimento; oltre 58.000 i morti al termine delle ostilità: circa 170 i miliardi di dollari utilizzati al fine di scongiurare il timore per cui "la vittoria degli indipendentisti (vietnamiti) avrebbe compromesso l'equilibrio politico tra il blocco occidentale e quello sovietico e che, dopo la vittoria di Mao in Cina, il Pacifico Orientale avrebbe finito per diventare un oceano 'rosso'" - Maffi, Scarpino, Schiavini, Zangari, "Americana. Storie e culture degli Stati Uniti -.
"C'erano installazioni grandi come città di trentamila abitanti. Una volta ci capitammo per portare le provviste a un solo uomo. Dio sa che razza di numeri alla Lord Jim redivivo stava facendo laggiù ... C'erano grossi campi eleganti con l'aria condizionata simili a confortevoli ambienti borghesi dove la violenza era inespressa, 'lontana'; campi dedicati alle mogli dei comandanti, l'eliporto Thelma, il Betty Lou..." - M.Herr, op. cit. - Sin dalla prima apparizione, ad esempio, di uno dei protagonisti assoluti di questo supershow - il cui convitato di pietra, ricordiamolo, e' comunque la Morte - il ten.col. William "Bill" Kilgore/R. Duvall (Willard: "Non era un cattivo ufficiale, penso. Voleva un gran bene ai suoi ragazzi. Ti sentivi al sicuro con lui. Era uno che aveva uno strano alone di luce attorno a se'... Era chiaro che non si sarebbe fatto neppure un graffio, qui") - inquadrato molte volte dal basso, a sancire, in una combinazione sarcastica di apologia, compatimento e critica, l'impressione di una statura epica a cui sottendere un'indiscutibile superiorità morale cara alla vulgata americana dell'eroe tutto-d'un-pezzo, alieno alle mezze misure (Kilgore non fa una piega nemmeno quando gli esplodono colpi di mortaio a pochi metri), supporto più che fermo alla visione imperialistico/egemonica che lo ha partorito/cresciuto ("Come ti senti oggi, Jimmy ?"; "Cattivo e figlio di puttana, signore !") - e' già possibile rintracciare una dismisura, un'altra piccola "apocalisse": la distanza - e l'intima violenza implicita in questa distanza - tra la monumentalita' ferale dell'apparato a stelle e strisce (di cui Kilgore e' una delle punte di diamante, una delle incarnazioni più "efficienti") e la silenziosa e modesta vita agreste del popolo vietnamita. Distanza che Coppola sottolinea e accresce frammentando di continuo il montaggio delle immagini che preludono l'incursione con, da un lato, l'adrenalina crescente sui volti e nelle posture "scomode" dei soldati, messa in circolo anche dalla musica di Wagner - la stranota e oramai "inconscia", nel senso che sembra di sentirla solo pronunciando il titolo del film, "Cavalcata delle Valchirie" - sparata a tutto volume (Kilgore: "Io 'uso' Wagner. Fa cacare sotto i vietnamiti.

I miei ragazzi lo adorano"); dall'altro, la composta e ordinata linea difensiva approntata dagli abitanti (e dai Vietcong) presenti nel villaggio, capovolgendo in tal modo, la tipica struttura "western" di questo genere di sequenze che, per tradizione, vedeva spesso la conquista dello "spazio vitale", il "destino manifesto" dell'estensione della "frontiera" anche come eliminazione fisica di una popolazione locale (ritenuta) ostile e/o indomabile, qui, invece, caratterizzata da una nutrita compagine di umanità inerme, in aderenza più o meno stretta alla montante ondata "revisionista" che aveva cominciato a farsi sentire anche nel cinema a ridosso della fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, promuovendo una rilettura più serrata e pessimista dei parametri d'interpretazione della Storia fin li' accettati o relativamente poco sindacati. Ecco, così, che l'azione militare propriamente detta si concentra - di sicuro - su un obiettivo controllato dal nemico ma - nei fatti - abitato più che altro da civili: donne, vecchi, persino una scolaresca, e sembra svolgersi secondo una prassi (ecco la tentazione spettacolare) che somiglia molto da vicino a quella che potrebbe vedere coinvolta una serie di squadre specializzate le quali, tra disboscamenti, rimozioni forzate e abbattimenti di ostacoli naturali (alberi, colline, avvallamenti et.) si appresta a rendere possibile l'esecuzione di un "numero" particolare, nel caso - dopo la messa in sicurezza delle zone limitrofe ad uno specchio d'acqua prescelto - le evoluzioni di un gruppo di soldati-surfisti (Kilgore: "A me piace finire presto le operazioni.../["I like to finish up operations early (and fly down to Vung Don for evening")] [in modo da dedicare più tempo, il tempo che "conta" davvero, al surf]; "'Barra'/["A good left slide"/anche "peak"] ? Perche' non me ne hai parlato prima ? Una buona 'barra'...Non ce ne sono mica tante in questo paese del cazzo. Solo risacche, in questa merda di posto... Diavolo, una 'barra' di due metri... eeehahaha... !).

"Spettacolo" o "gioco di finzione" che Coppola spinge al limite, rendendolo esplicito (qualcuno ha detto persino troppo), quando Willard appena posto piede sulla spiaggia, ad attacco ancora in corso, si sente apostrofare da una mini-troupe - Coppola, Storaro e Tavoularis in carne ed ossa - che gli sbraita contro ordini categorici e reiterati: "Andate avanti ! Andate avanti ! [E' Coppola che parla] Non vi fermate ! Andate avanti ! Non guardate in macchina, non guardate in macchina ! Andate avanti ! 'Come se combatteste !' E' la televisione..."/["Don't look at cameras, don't look at cameras. Go on through... go on through. Don't look at cameras. 'Go by just like you're fighting...'"]. Fatto. Lo "spettacolo" della guerra. Il presupposto stesso di "Cavalleria dell'Aria", del resto, accarezza l'immaginazione, facendola viaggiare su sentieri mitici (non poi così lontani da Wagner e dalle sue Valchirie), "naturalmente" inclini ad una rappresentazione - vuoi di potenza, vuoi di magnificenza, di regale se non divina prerogativa di concedere la Vita o d'infliggere la Morte - che esula senza difficoltà l'ambito della narrazione di un "evento storico" e abbraccia connotati emotivo/simbolici profondi che trasfigurano l'episodio in una sorta di "super messinscena".
In effetti, la guerra, se intesa in primis come gigantesca mobilitazione, si presta ad una visione, diciamo così, "scenografica". Le articolate riflessioni operate su questo specifico tema da un "geometrico" purissimo come Kubrick (il "suo" Vietnam, "Full metal jacket" - 1987 - e' integralmente "ricostruito", "e'", di proposito, una scenografia) mettevano spesso in evidenza, tra l'altro (con riferimento puntuale ad una delle ossessioni preferite - e deluse - del genio americano a dire lo "schema totale" - ecco un altro, per restare a noi, che, come Kurtz, aveva "progetti immensi"; un altro dei non molti che avrebbe potuto pronunciare l'inquietante frase vergata da Conrad: "I had immense plans" - di un "Napoleone" che prevedeva lo schieramento autentico, ossia non digitalizzato ed indipendentemente dalla fattibilità tecnica della sua realizzazione, di migliaia e migliaia di comparse per la ricostruzione/reinvenzione di battaglie celebri) proprio l'idea di guerra come "gioco supremo", le cui azioni/variazioni si svolgevano come su di una fantomatica scacchiera, il cui presupposto razionale (i piani, le astuzie, le trappole) era alla fine sistematicamente beffato e ridicolizzato dal Caso: palcoscenico di un desiderio sconfinato per una mente sconfinata, insomma, le cui quinte, per assurdo ma non troppo, potevano essere benissimo quelle del mondo intero. In una prospettiva del genere - la legittimità dei cui paradossi era nota tanto a Kubrick quanto, nei fatti, allo stesso Coppola - diventa persino "logica" un'altra delle tante celebri battute di Kilgore: "O fai il surf o combatti !"/["That's good, son. Cause you either surf or fight !"]. Perché, a ben vedere, non c'è tutta questa differenza, se l'impostazione e' quella del "gioco", dello "spettacolo"; nel nostro caso del gioco come tentativo di differimento/rimozione della "tenebra". L'occupante si porta dietro, assieme a uomini e cannoni, la propria Tradizione, qui (anche) il surf (e annessa componente spettacolare): orizzonti politico/militari e ludico/sportivi, cioè, si spostano su direttrici simboliche/formative, di appartenenza, "eroiche" - non così distanti fra loro. Gioco come sfida, quindi; sfida come spettacolo, spettacolo della Vita e della Morte, con tanto di contrassegno/talismano di riconoscimento - le carte - che sono "carte-da-gioco", appunto, e sulla scena diventano "carte-di-morte"- (Kilgore, mentre ne distribuisce sui cadaveri dei Vietcong appena uccisi: "In tutto il mucchio non ce n'e' nemmeno uno che valga un fante").



O come pure il ricorso a diversivi evanescenti e dai colori contundenti (le immagini stesse assumono da ora cromatismi via via sempre più accesi, in una sotterranea quanto lucidissima sottolineatura ponderata da Storaro al fine di rimarcare l'antitesi tra i colori "naturali" dell'Organismo Vivente della giungla e quelli "artificiali", saturi, violenti, pacchiani, della Civiltà e dei suoi strumenti), l'uso abbondante, a dire, di fumogeni dalle tinte vistose - giallo cromo, arancio, viola - che oltre a diffondere un alone ipnotico-psichedelico (anch'esso, mano mano che il film "affonda" verso Kurtz, cuore della tenebra, sempre più presente) rende avvertibile il malessere fin qui strisciante ("Strisciare verso Kurtz", diceva Conrad) verso un atteggiamento, nello specifico tipico del "modo di essere americano", per cui rischio, sprezzo, pericolo, guasconeria, lambire- la-morte, eccitazione, intrattenimento, sono contenuti nella stessa confezione "formato famiglia" ed hanno l'identico, aspro, odore/sapore dominante che azzera ogni sfumatura, ogni retrogusto, nonostante "prima o poi questa guerra finirà"/("someday this war's gonna end") (Kilgore): l'odore/sapore del napalm [Kilgore: "Lo senti ? Lo senti l'odore ? E' napalm, figliolo. Non c'è nient'altro al mondo che odora così... Mi piace l'odore del napalm, di mattina. Una volta, una collina la bombardammo per dodici ore. Finita l'azione, andai li' sopra. Non ci trovammo nessuno, neppure un lurido cadavere di Viet. Ma quell'odore... Si sentiva quell'odore di... benzina. Tutta la collina... odorava di... di vittoria..."/["You smell that. Do you smell that ? Napalm, son... Nothing else in the world smells like that... I love the smell of napalm in the morning... You know, one time we had a hill bombed for twelve hours. When it was all over, I walked up. We didn't find one of 'em... not one stinking dink body. (They slipped but in the night...) but the smell... that gasoline smell... the whole hill... it smelled like... victory)] ... ... All'eccitazione allucinatoria della "potenza" e della "vittoria" allestita come susseguirsi di effetti scenici e mirabilia di morte (Kilgore) fa eco - ed e' un sussurro languido, come un calore improvviso degno di un "viaggio" fuori programma ("A questo punto il film diventa lisergico; la guerra psichedelica... Sarà il primo film a vincere il Nobel", commento' Milius, il cui primigenio trattamento, dal quale sarebbe scaturito poi "Apocalypse now", s'intitolava non per vezzo "The psychedelic soldier") - il "rallentamento" altrettanto fantasmatico del "sesso", reso percepibile e quasi palpabile dalla presenza delle "Bunnies", le conigliette di Playboy nella località/magazzino a cielo aperto di Hau Phat, reclutate dallo USO, United Service Organization, organismo incaricato dell'allestimento degli intrattenimenti delle truppe. A tutta prima, col palco che si erge mezzo illuminato sullo sfondo del fiume placido nella notte e nell'oscurità ancora più nera della giungla, il giovane "Clean" non riesce a trattenersi: "Certo che questo e' uno spettacolo strano in questo cesso"/("This sure is a bizarre sight in middle of this shit"). Ma invece non lo e'. Perché e' proprio per lui e per tutti gli altri soldati che e' stato messo in piedi, allo scopo di convogliare la mente altrove - "La fica distrae", nozione elementare che i Comandi hanno sempre scaltramente amministrato - e rendere più smussata la possibilità tutt'altro che remota della "fine"/"the end". Le miss, come eiaculate da un elicottero il cui faro squarcia nell'occhio dell'obiettivo della mdp l'oscurità della notte, ridacchiano, ancheggiano, solleticano ciò che sta dietro i genitali delle giovani reclute, volto in apparenza gentile della tenebra che la guerra e il territorio selvaggio hanno risvegliato e che non tarda a palesarsi al momento di riversare all'inizio contumelie (del tipo: "you fucking bitch !"), poi direttamente se stesso contro le tre figure agghindate come comanda una bella fetta dell'immaginario erotico/pubblicitario americano: l'appetitosa ed esotica squaw, a cui risponde la ragazza soldato-dell'unione con la camicetta legata al petto.



E al centro, in alto, la cow-girl bambina, grosse pistole nelle mani sottili e gran voglia di mettersi a cavalcare. Coppola alterna i movimenti rapidi della macchina da presa dal palco agli spalti inghirlandati per offrire campi più lunghi mano mano che la "festa" degenera; spinge sul rock ammiccante ("I like the way you walk, I like the way you talk..."); avvolge il campo visivo di fumi ed esasperazioni sonore cupe e stridule. Poi la mdp indugia sospesa, come stupefatta/atterrita sullo scomporsi della truppa libera di dar sfogo a ciò che gli si agita nel profondo nel mentre l'elemento femminile si ritrae, conscio del deja-vu che lo vuole in caduta libera entro il solito cliché di animale-da-sacrificio, di natura-violata: isola, mentre gli eventi precipitano, in silenziose inquadrature più strette e dal morbido movimento laterale, contadini vietnamiti ed alcuni ragazzini - aggrappati entrambi alle recinzioni dell'improbabile campo/magazzino/palco - testimoni attoniti di un bislacco rituale, ed infine Willard, gli occhi pero' meno increduli, adesso; il contegno non più prostrato, le riflessioni in sintonia con un distaccato disincanto. "'Charlie'", rimugina, "non aveva molti trattenimenti del genere. O s'imbucava nella terra troppo profondamente, o si muoveva troppo in fretta. La sua idea di meraviglioso passatempo era riso freddo e un po' di carne di topo. Aveva solo due strade per tornare a casa: la morte o la vittoria... Sfido io che Kurtz faceva rodere il culo ai suoi superiori. A condurre la guerra era un gruppo di clown a quattro stelle che avrebbe finito per dare via tutto il circo..."/("... No wonder Kurtz put a weed up command's ass. The war was being run by a bunch of four-stars clowns who where going to end up giving the whole circus away"). "I vietcong lavoravano dentro i campi come lustrascarpe e lavandai e raccoglitori di miele, ti inamidavano le tute, bruciavano la tua merda e poi se ne tornavano a casa a bombardare la tua zona... ... Tutto quello che potevi fare era guardarti intorno per vedere se anche gli altri erano spaventati e tramortiti come te. Se ti sembrava che non lo fossero, pensavi che erano matti; se avevano l'aria di esserlo, stavi pure peggio" - M.Herr, op. cit. -

- seconda parte -

TFK

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