venerdì, marzo 16, 2012

Young Adult


Young Adult” (id., 2011) è il quarto lungometraggio di Jason Reitman (figlio del regista Ivan). Una carriera breve ma fatta di commedie spiritose e di riflessione sociale (da “Thank You For Smoking”, 2005, a “Up in the Air”, 2009).

Questo “Young Adult” chiama in prima fila Charlize Theron, attrice che da oltre quindici anni varia il tipo di film (commedia-dramma-sociale) e che riesce bene a tenere il film fino alla fine. Un encomio non da poco per una storia al femminile e i suoi risvolti nella provincia americana.

Un film amaro e poco compiaciuto, che chiama a raccolta interiorizzazioni adolescenziali ma sopite e spinte da bella del liceo mai decisa a perdere. Essere la prima e più ricercata dai ragazzi in età scolare crea in Mavis Gary una crisi di rirorno alle origini. Vuole recuperare e (ri)prendersi tutto quello che aveva lasciato nella sua piccola provincia dove è nata e contava qualcosa. Il ritorno è di quelli mesti e furenti, sognati e accaniti: incontri e situazioni dilavati da immagini stereotipate ma pur sempre di fronte a balli da sola e alcolici distruttivi. Una bambina che vuole diventare donna e cerca rivincite di fronte a tutti. “Come mai sei tornata?” tutto per “un’operazione immobiliare”. Tutto il vuoto che lascia il suo passaggio è desolante ed ogni personaggio appare ‘falsamente’ plastificato per compiacere la lei fiamma di un tempo andato e il regista che prende a ‘sberle’ una provincia ridotta al lumicino. E pensare che il gusto goliardico di un college americano lascia sensazioni di gusto ridanciano ma evidentemente le sensazioni sono ben altre e possono portare ad una crescita scriteriata e fuori regola. Tutto secondo una norma non scritta. “Tu sei una stronza”, “pezzo di merda” risponde Mavis all’amico liceale Matt Freehauf che è un ‘grassone’ inconcludente che ha subito un’aggressione alle gambe e alle parti basse e cammina con difficoltà. Mavis vede tutto al rovescio e il bicchiere pieno di alcol gli dà coraggio per continuare e rispondere con piglio e tono da ‘bellimbusto(a)’. L’incontro (casuale) con sua madre in città e il ritorno a casa con un tavolo imbandito per tre è descritto in modo asciutto e amorfo: la figlia è persa nell’aver rivisto il suo ex ragazzo liceale ma oramai sposato e con neonato. Buddy Slade dà a Mavis un allontanamento definitivo ed una solitudine poco vera per una ragazzina cercata da tutti (mentre torna in un piccolo bosco con Matt dice “qui era il posto delle trombate” e gli risponde l’amico “come mai volevi tornare….quindi eri una zoccola”. In un paio di battute incrociate tra Mavis con Matt e la stessa Mavis con Buddy si snodano i mondi e le vite di una provincia perdente e tagliente dove ogni luogo di ritrovo diventa specchio di un bicchiere da bere e assuefazione (senza andare oltre) ai problemi evidenti. Pochi hanno voglia di parlarne. Solo un’amica fa capire a Mavis che ‘quel posto non vale niente’. Forse tornare a Minneapolis è la sua ultima speranza. Il suo vero sogno. Il rifiuto della sua città d’origine è duplice. Va da sola e dice ’no tu no… resta nella città degli uomini che non vedono il domani’…il domani che la provincia americana sognava e che la metropoli sta ancora cercando. E che dire della ‘bottiglia di guerre stellari’ che fa ‘girare la testa’ mentre Mavis è ‘una galassia’.

Una Charlize Theron convincente che prende il mano la storia e tiene bene il suo personaggio. Una donna a tutto tondo. Sorretta forse poco da alcuni contesti di scrittura e da una parte finale resa convenzionale: la verità del dramma sociale viene solo sfiorata con una scappatoia di comodo. Rimane agli occhi del pubblico la figura inerme del padre David (Richard Bekins) e di una madre (Jill Eikenberry) sconfitta dagli eventi. Le risposte non arrivano e la fuga della figlia senza vita e alcolizzata rimangono lì impietose e destabilizzanti per la famiglia di quel paese (e di incomprensioni nella nostra). Manca alla pellicola un’acidità e un’avvedutezza narrativa di grande consistenza: pur tuttavia si nota una certa sincerità di fondo e una descrizione opportuna e mai furba. I luoghi di ripresa diventa prigioni interiori e spirali contorte; una fotografia blanda, offuscata e asettica dà uno stile al film di ricerca documentaristica. L’assenza di una vera colonna sonora con richiami ai rumori di fondo stemperano il finto non-gioco mentre alcune musiche dei ‘ricordi’ danno il conforto a Mavis dentro al suo mondo.

Stilemi e incroci in un film da chiaroscuri immediati e da scappatoie vicine. Mai si vede un orizzonte di linguaggi e mai si assiste a un incontro di immagini (veramente) consolatorie. La sconfitta è anche sentire il refrain di una canzone (per sempre amata).

Regia discreta (sono piaciute le riprese degli esterni).

voto 7-

recensione di loz10cetkind

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