mercoledì, gennaio 25, 2012

E ora dove andiamo?



Schema che vince non si cambia. Sarà una coincidenza, oppure la necessità di adeguarsi alle possibilità economiche di chi lavora fuori dai grandi circuiti, fatto sta che Nadine Labaki al suo secondo film replica se stessa nella descrizione di un microcosmo che aspira a diventare immagine del mondo, almeno di quello libanese e mediorientale.
Al posto del salone di bellezza questa volta c'è un anonimo villaggio dove cristiani e musulmani sperimentano la difficoltà di convivenza che da sempre va in scena in quei paesi dove la religione diventa unico metro di giudizio.

Una bomba ad orologeria a cui si oppongono le donne della comunità decise a scongiurare con ogni mezzo il pericoloso escalation, anche a costo di affittare una banda di giovani prostitute chiamate a convogliare in altro modo l'ardire bellicoso dei loro uomini.
Partendo da una situazione reale, il Libano è un paese costruito anche politicamente sugli equilibri tra le diverse confessioni religiose, Labaki prende fin da subito le distanze dal film verità - in apertura la processione funeraria trasformata in un balletto ed a seguire i dialoghi che ad un certo diventano duetti musicali - ridisegnando la cronaca con i registri di una commedia multiforme e variopinta, capace di parlare della tragedia di un popolo con i modi surreali, drammatici ed anche farseschi delle situazioni proposte, e dei personaggi che ne fanno parte.

Un concentrato di tradizione popolare - pur prendendola in giro, i riti sociali e le credenze di quella cultura rimangono comunque importanti -, e voglia di cambiamento - ristrutturare, riparare, recuperare sono le immagini di una manualità costretta a confrontarsi con una quotidianità che cade a pezzi - che la regista anche questa volta propone dal punto di vista delle donne.
Anteposta ai limiti della controparte maschile, l'altra metà del cielo è un cuore pulsante di passione e di buon senso, il vero ed unico motore di una collettività altrimenti votata all'autodistruzione.

Accompagnato da un successo che è arrivato anche in America, "E ora dove andiamo" ha nelle caratteristiche omnicomprensive il suo pregio ed insieme il suo difetto.
Nella necessità di condensare la complessità della materia ( in realtà la geopolitica libanese è molto piu frazionata di quello che viene mostrato, anche all'interno della stessa confessione religiosa) Labaki finisce per semplificare troppo, riducendo gli aspetti della vita quotidiana ad una serie di stereotipi che fanno anche sorridere ma restituiscono solo in parte la natura di quell'ambiente.
E' vero che le donne sono il salvagente morale nelle situazioni più difficili ma dopo un pò, vedere il resto dell'umanità ridotta ad un ectoplasma finisce per fare uno sgarbo anche a loro, per il riflesso negativo di un accostamento improponibile e, dal punto di vista squisitamente cinematografico, un pò troppo ripetitivo.

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