venerdì, settembre 02, 2011

Come ammazzare il capo e...vivere felici

Come ammazzare il capo e...vivere felici

Dopo il successo planetario di "Una notte da leoni", la complicità maschile sembra aver trovato nella commedia il luogo adatto per esibire la goliardia ed il cameratismo che generalmente impronta i comportamenti collettivi dei maschi di mezz'età. Tre personaggi complementari, ma soprattutto l'età di mezzo, con quel misto di concretezza ed evasione, di malinconia e menefreghismo, di sfumature e mezzi toni, diventano lo scenario perfetto per variazioni sul tema che, nel tentativo di rianimare un genere perennemente in crisi, lo dirigono dalle parti di un intrattenimento virato al nero, in cui gli aspetti ludici si contaminano con quelli drammatici. Una cosa alla John Belushi tanto per intenderci pur senza possederne il talento e la cattiveria. In aggiunta la presenza di un incipit, l'astio del dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro, che può contare su caratteristiche di universalità e condivisione.

Esplicitamente sintetizzata nei titoli la storia segue il tentativo di 3 amici impegnati ad organizzare l'assassinio dei rispettivi capi colpevoli di vessarli con pratiche da aguzzini. Ad eliminarli ci penserà ognuno di loro avendo cura di farlo nei confronti del datore di lavoro dell'altro (particolare che rimanda a "Delitto per delitto" di Alfred Hitchcock), per sviare il possibile movente. Tra appostamenti ed incontri ravvicinati la vicenda si complicherà quando un'uccisione imprevista rischierà di mandare all'aria il piano di Nick, Dave e Kurt coinvolgendoli in un'escalation degna di una vera crime story.

Tra cinema e televisione non solo per eterogeneità degli attori, ma anche per l'utilizzo dell'elemento caricaturale che fa il verso a certe parodie usate da programmi cult sul tipo di "Saturday night live" (Kurt/Jason Sudekis ne è stato uno dei protagonisti) il film punta sul contrasto tra l'elemento divistico, relegato in un angolo e chiamato a manifestarsi in panni che normalmente non gli appartengono, almeno in termini di minutaggio, stiamo parlando dei ruoli dei cattivi interpretati da Spacey, Farrell ed Aniston, e quello emergente e tutto da scoprire rappresentato dalle loro nemesi, attori sconosciuti a questi livelli, ove si eccettui Jason Bateman, che a loro danno vita.

Ed è proprio il contrasto tra l'anonimato degli tre impiegati e l'egotismo anche estetico dei loro superiori, con Farell e la Aniston a ricordare rispettivamente il Les Grossman di Tom Cruise e la Demi Moore di "Rivelazioni", a provocare lo spiazzamento necessario, a rendere il malessere e la patologia dell'intera situazione.

Immerso in un atmosfera notturna, quasi interamente girato in interni, "Horrible bosses", questo il titolo originale del film, funziona quando deve creare atmosfere in bilico tra il riso ed il pianto, mentre si perde nello sviluppo della storia che rimane presto orfana del contraltare negativo, per il mancato sviluppo dei personaggi di Farrell e della Aniston appena tratteggiati e ridotto al solo personaggio intepretato da Spacey, per riempirsi di aneddoti da commedia trash, con battute ed allusioni quasi sempre sessuali, capaci di smuovere il perbenismo di una società vittoriana come quella americana ma francamente datate per il resto del mondo occidentale. Nonostante questo, il film, uscito nell'estate americana, ha conquistato i favori del pubblico e soprattutto del botteghino.

pubblicata su ondacinema.it



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