venerdì, dicembre 04, 2009

500 days of summer

500 days of summer
di Marc Webb

Costruire l'amore/Decostruire l'amore: sono questi i presupposti che muovono l’ultimo film di Marc Webb, 500 days of summer, commedia agrodolce imperniata sulle vicende sentimentali di Tom Hansen, inguaribile romantico con la passione per l’architettura e Summer Finn, dolcemente disincantata e decisa a conservare la propria indipendenza, diversamente coinvolti in una relazione fuori dagli schemi eppure segnata dalle idiosincrasie che sempre accompagnano i favoriti da Cupido.

Scandita da un calendario immaginario che la sceneggiatura costruisce per assecondare la voce over, a cui spetta il compito di far progredire la storia ed insieme di dimostrare con andirivieni temporali l'imprevedibilità di un sentimento amoroso, da sempre costretto a declinarsi secondo i parametri del cuore ed anche del destino, la storia di Tom e Summer (che nella versione italiana si chiamerà Sole) ha un gusto vagamente retrò, non solo per la presenza di due caratteri dalla fotogenia anomala, vicina ai gusti di un pubblico che alla bellezza delle forme preferisce quella delle idee, ma anche per le soluzioni di una regia che ammicca apertamente alla New Hollywood, con la musica che diventa manifesto dello stato d’animo dei personaggi e per certe "ingenuità" che hanno caratterizzato alcuni eroi di quel periodo (palese il richiamo al "Laureato" ma anche a "Come Eravamo"), ed al movimento della Novelle Vague, presente nell'inguaribile fiducia (o follia) che permette ai personaggi di sopravvivere con malinconica leggerezza agli ostacoli del cuore.

Ed anche la trovata di invertire le predisposizioni biologiche, attribuendo ai personaggi caratteristiche e vicissitudini che appartengono al sesso opposto contribuisce ad invertire il trend di una commedia americana prevedibilmente sessista.

Purtroppo Webb non riesce a rendere spontanea la propria cinefilià ed appesantisce il film con una serie di trovate, che a cominciare dai fotogrammi che sembrano venire fuori dagli schizzi con cui Tom sfoga la sua frustrazione di architetto mancato, alla complicità con il pubblico ricercata nell’espediente degli attori che si rivolgono allo spettatore, fino ai giochetti temporali volti a pareggiare i momenti felici con quelli deprimenti, tolgono spazio all'emotività di una vicenda che dovendo rispettare l'assunto di partenza frena (per eccessivo schematismo) la performance della coppia Leavitt/Deschanel.

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