sabato, agosto 01, 2009

GHOST TOWN


Sulle prime sembrerebbe il solito titolo ad effetto: New York ed i fantasmi per ravvivare l’interesse verso un genere, che al di fuori del filone demenziale non sembra riscuotere i favori del pubblico. Ed invece il cammino di redenzione di un tipo misogino come il Dottor Pinkus, costretto a soddisfare le vicissitudini di Jack (Greg Kinnear), un fantasma che vuole rimediare al tradimento della moglie impedendole di sposare un tipo altrettanto disinvolto, diventa la metafora di una paese che non riesce a liberarsi dalle angosce del terribile attentato.
Legati a doppio filo da un senso di perdita che non fa distinzioni e li accomuna in un destino di solitudine e di dolore, i vivi ed i morti sono come sospesi in attesa di un accadimento che li possa liberare da questa condizione ed il film trova il modo di soddisfare questa attesa proponendo un personaggio (Pinkus) che a differenza di tutti gli altri ha già sciolto le sue riserve ed ha intrapreso una strada di totale intransigenza verso il mondo e chi lo rappresenta. Una catarsi affidata all’ambivalente fisiognomica di Rick Gervais, una specie di Pierrot in salsa inglese, per le somiglianze caratteriali con lo Scrooges Dickensiano, ed alle situazioni tragicomiche che la storia propone al di lui personaggio, quando, risvegliatosi da un operazione piuttosto complicata, si ritrova assediato dalle richieste delle anime defunte che ha il dono, o per dirla dalla sua prospettiva, “la sciagura” di vedere. Un elegia neyorkese declinata in salsa rosa, per la presenza di una sottotrama sentimentale che coinvolge Pinkus e la bella dottoressa (Tea Leoni), e che Koepp traduce avvalendosi di una sceneggiatura puntuale nella proposizione degli eventi ma un po’ debole sotto il profilo dell’inventiva: tutto procede secondo copione, con i personaggi di contorno che si susseguono sulla scena ed una regia attenta ad offrirgli l’occasione.
Resa sofisticata dall’esclusività degli ambienti ma soprattutto dall’aristocraticità degli attori, Ghost Town deve molto alla bravura dei suoi interpreti: Koepp lo sa e per questo si sofferma sui loro volti, inducendoci ad interrogare le loro espressioni, a leggere tra le righe del non detto. Mero intrattenimento o riflessione semiseria ?

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