giovedì, giugno 11, 2009

IL CANTO DI PALOMA

Le conseguenze della dittatura ed il ritratto di una donna alla prese con i fantasmi di un esistenza vissuta all’ombra di un antico misfatto sono i temi principali di un film che ribadisce l’esistenza di un cinema sudamericano anche al femminile dopo i successi cannensi di Lucrecia Martel. Allo stesso modo dell’attrice argentina, anche la Llosa si sofferma su un percorso di crescita personale che diventa anche il paradigma di una terra che tenta di rinascere sulle ceneri di una regime politico che ha ampliato le distanze tra ricchi e poveri. Costretta all’isolamento da una madre che l’ha partorita con ancora addosso il sudore dei suoi stupratori, Fausta vive il rapporto con la realtà esterna e soprattutto con il sesso maschile come un tormento da evitare ad ogni costo: debilitata da un infezione provocata dalla patata che lei usa come cintura di castità e costretta a rimediare i soldi per seppellire la madre nel paese natio, accetta il lavoro presso la casa di una facoltosa concertista ed inizia un lento ma non indolore processo di liberazione che passerà inevitabilmente per il confronto con le proprie paure. Pur mantenendo in secondo piano gli aspetti prettamente politici, questi sono presenti soprattutto nelle differenze che caratterizzano la vita della padrona, immersa nel silenzio della villa e sistematicamente dedita all’otium, e quelle della protagonista, divisa tra il nuovo lavoro ed il sostegno ai parenti che la impiegano in una scalcagnata quanto pittoresca ditta di matrimoni (esemplare il campo lungo che accentua l’assurdità e la fatica per raggiungere la sede di lavoro ubicata sulla sommità di un promontorio raggiungibile solamente dopo un interminabile ascesa) ma anche nella rappresentazione di una condizione femminile a cui viene preclusa qualsiasi possibilità di affermazione. Ma quello che colpisce è la capacità di dare vita agli stati d’animo della protagonista, impegnata in una versione latina della protagonista di “Alice nel paese delle meraviglie” (anche qui sarà il risveglio a decretare il ritorno alla vita), in cui l’acidità della versione originale è sostituita da un andamento a volte dolente, per il costante senso di minaccia che attanaglia Fausta, a volte divertito, per gli intermezzi di vita quotidiana caratterizzati da un ironia paragonabile a quella che attraversa i picari di Emil Kusturiza, in un contesto dove la progressione del racconto, pur evidente negli snodi fondamentali, è continuamente presente nel volto della protagonista, interpretata da un attrice (Magaly Solier) che ignora il metodo e recita con il cuore. Il canto di Palma allude alla nenia che la protagonista intona per esorcizzare i ricordi di un infanzia rubata. Orso d’Oro al Festival di Berlino 2009.

2 commenti:

ethan ha detto...

Il racconto è di una realtà quasi allucinate, fatto in modo surrealista o iperrealista, risponde a un intento più sociologico che ideologico. Oltre all’Orso d’oro assegnato dalla giuria presieduta da Tilda Swinton, al festival di Berlino il film ha vinto anche il premio Fipresci, che viene assegnato dalla critica internazionale. Infine la pellicola segna una bella affermazione personale anche per la protagonista, Magaly Solier, 22 anni, originaria del profondo nord del Perù.

nickoftime ha detto...

Il film dipende molto dal volto della usa regina