lunedì, marzo 02, 2009

The Reader - A voce alta

Il corpo e la voce: il primo, morbido e voluttuoso, lo ha prestato Kate Winslet alla sua prtagonista , una donna la cui durezza del volto e la laconicita' delle parole entra in contrasto con la generosita' delle sue forme; la seconda appartiene al giovane amante che prima di amarla le legge quelle pagine di letteratura che ella agogna piu' di ogni altra cosa.
Una passione segreta che nasce come desiderio di completarsi attraverso l'altro e poi diventa qualcos'altro.

il film su questo punto si mantiene reticente fino all'ultimo ed anche quando il tema dell'olocausto irrompe a spezzare la trama della narrazione, catapultandoci nei suoi orrori, rimangono i dubbi sulla natura di un amore che sfiora l'assoluto e poi deraglia sotto il peso di un passato che ne' lei, inconsapevole aguzzina, ne' lui, amante abbandonato, possono dimenticare.
Quello che risulta interessante oltre al rapporto vittima/carnefice - riproposto sia sul piano privato dalla relazione dei due protagonisti che su quello pubblico dal resoconto che emerge nella fase centrale del film durante le sequenze del processo - risiede sopratuttto nella mancanza di spiegazioni ed ancor piu' nella banalita' delle motivazione addottate dal personaggio della Winslet, per giustificare il suo operato: la conferma delle insondabili radici del male si infrange sulla purezza dell'amore privandolo, per sempre, del suo naturale slancio.
La mancanza di catarsi, suggellata dal mancato pentimento della protagonista, che alla fine di un esistenza isolata e miserabile continua ad accontentarsi dell'antico rituale che il disilluso amante nuovamente le regala, conclude una vicenda che neanche il sottofinale conciliatorio rende meno triste.
Una condizione che la cinematografia di Daldry trasmette attraverso colori esangui, riprese statiche ed un lavoro di sottrazione soprattutto nei dialoghi (quasi un paradosso per un opera che e' intrinseca alla comunicazione verbale), affidandosi ad una narrazione di atmosfera e di non detti.
Kate Winslet, perfetta nel combinare le contraddizioni di una carnalita' angelica ed insieme infernale, e' efficace nell'evitare inopportune (per il tono dimesso del film) pericolose monopolizzazioni e rende credibile la mancanza di senso vissuta dal suo personaggio.
Per il resto si tratta di ordinaria amministrazione a partire da Ralph Fiennes nell'eterno ruolo del romantico perdente, la solita faccia sbiadita ma nell'occasione tremendamente efficace, fino a Bruno Ganz, da qualche tempo abituatosi a prestare la sua faccia a produzioni che assicurano una buona vecchiaia.
The Reader e' un film girato in continuita' con le precedenti opere di un regista che ricerca la verita attraverso la caratterizzazione dei personaggi, verso i quali fa convergere il resto della sua arte. Il suo cinema e' silenzioso, costruito su pochi segni ricorrenti (la presenza dell'acqua come elemento catartico, il profilo di un viso in penombra, la natura ambigua dell'amore, una forte sensibilita' femminile) eppure tremendamente capace di entrare sotto pelle e di restarvi per un bel pezzo.

Con meno forza ed anche bellezza di The Hours anche questo The Reader riesce a compiere l'impresa.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Finalmente! Il ritorno del nostro critico di punta è realtà. Fabrizio

veri paccheri ha detto...

il pregio di questo film è che non ti lascia indifferente. non si esce dalla sala senza essersi prima indignati, commossi o arrabbiati. la paura che tiene prigioniera la protagonista, hanne, è la medesima che incatena lo stesso Michael, illuso di una libertà che in fondo non riesce affatto a viversi, nè ad onorare, di una giustizia che non riesce a difendere. come si fa a giudicare le cose al fondo di una vicenda simile?
oscar alla winslet decisamente meritato.
bellissima la fotografia.

Anonimo ha detto...

Fabrizio: ciao Fabri, mi fa ridere quando mi definisci il critico di punta, ma essendo una battuta e' molto divertente...

Veri: penso che sia inevitabile avere dei giudizi su qualsiasi cosa ma la realta' e' che tu i fatti (ed anche li, nel raccontarli c'e' una parte giudicante) puii solo raccontarli, ma quando ti inoltri nel giudizio devi essere coscente della parzialita' delle conoscenze a tua disposizione...e quindi della superficialita' delle tue deduzioni.
Il film mi e' piaciuto perche' si e' tenuto un passo indietro rispetto alle facili conclusioni che potevano scaturire da un film che parla anche..ma non solo di olocausto.

Credo che sia per questo...per la mancanza di una condanna evidente che le associazioni ebraiche hanno tentato di boicottare il film....

Comunque c'e' ne fossero di film come questi

NICKOFTIME

Anonimo ha detto...

il film lo ho trovato impegnativo, ambizioso ed esasperante. David Hare ha provato a prendere il meglio del romanzo di Schlink, ma nonostante i suoi sforzi, il risultato è medio. La scena della loro “prima volta”, nonostante sia girata con grazia, sembra tratta da un porno di terz'ordine: in quali altre situazioni una donna molto bella si spoglia e si fa il bagno davanti a un giovanotto gagliardo solo perché si è sporcata il volto? Nella seconda metà del film Hanna viene arrestata per un crimine commesso durante la guerra, quando era nelle Ss. Poi arriva una sua vecchia fiamma, Michael (Ralph Fiennes), a cercare di tirarla fuori dai guai. Daldry affronta le cose con una lentezza esasperante e una brutta colona sonora. Aggiungo anche il trucco da vecchia della wislet che lo ho trovato pietoso. ho apprezzato molto la fotografia e l'interpretazione di lena olin. comunque torno a rivederlo e poi vi faccio sapere. :)

parsec ha detto...

non posso prendere come riferimento il romanzo perché non l'ho letto. Per me questo è un film sull'impossibilità di esprimere dei giudizi e di attribuire delle colpe, e sull'effetto che la paura ha sugli esseri umani. Non lo sento come un film sulla shoah, non è quello il punto, naturlmente, e non sono d'accordo sul mancato pentimento di Hanna. Il modo di esprimersi di Daldry forse è stato a tratti un pò noioso, ma il film nel suo complesso mi sento di salvarlo.

Anonimo ha detto...

come ho scritto, voglio tornare a (ri)vederlo. E' un film complesso e forse ho sbagliato la chiave di lettura. Ho usato la soluzione culturale. L'alfabetismo come umanizazione di Hanna. Come nel film di Sylvie Verheyde (Stella), leggere buoni libri posso salvare la vita. Questo intendo. POi non mi ha convinto la trasformazione in modo astratto del nazismo. notte

Anonimo ha detto...

Parsec:
secondo me il pentimento ci sarebbe se Hanna avesse capito che la situazione contingente ( il lavoro migliore che le viene offerto dalle SS) non basta a giustificare le azioni che ha commesso. A me e' sembrato che per lei, nonostante l'evidente orrore solo ancora convinta della giustezza della sua scelta.

Sono d'accordo sul fatto che The Reader non e' un film sulla SHOA.

Ho trovato un po noiosa la parte centrale, quella che alterna il processo con le lezioni universitarie del protagonista maschile.

ETHAN:
Ciao Ethan,
sulla misura della lentezza forse si dovrebbe capire un capitolo a parte perche' credo che (la misurasa) legata alla nostra percezione...se uno ama i movimenti di macchina, i lunghi piani sequenza, allora non sente il peso di una narrazione che fa passi in avanti solo dal punto di vista autoriale o metacinematografico e non da quello classicamente narrativo...e il discorso vale al contrario... certe volte certi film di azione sono lenti perche' le le scene velocissime si ripetono sistematicamente senza portare avanti la storia o riducendola ad una banalita'...se ne potrebbe riparlare ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.

Daldry e' molto semplice dal punto di vista cinematografico ma a me piace per come lavora sugli attori e sui personaggi: i suoi film sono sempre il personaggio di cui parlano: io ricordo Billy Elliot,la Wolf ed ora Hanna e non le scene dei suoi film...

VI SALUTO
NICKOFTIME

parsec ha detto...

x NICK: hanna non ha scelto il lavoro migliore! Ha dato, putroppo, troppa importanza alla sua paura. Ha rifiutato (suo malgrado) la promozione in siemens per lo stesso motivo per cui ha rifiutato (suo malgrado) la promozione all'azienda di trasporti...cioè per il suo analfabetismo. La scena in cui le viene comunicata la promozione da parte del suo capo (lei la accoglie come una tragedia e se ne va dalla città) fa luce sul perché dieci anni prima circa lei abbia scelto le ss. La sua scelta è stata condizionata allora come ora dalla paura e dalla vergogna di essere analfabeta. Paura e vergogna che sono diventate abnormi nella sua testa e che non le permettono di salvare nemmeno se stessa dall'ergastolo. Con questo non voglio dire che la giustifico, ovvio. E' una constatazione che mi impedisce però di giudicarla per i suoi errori, perché in quel contesto mentale hanna non poteva fare altro. E' a causa dell'idea/incubo che si è fatta del proprio analfabetismo che ritiene della massima importanza il proprio lavoro, tanto da fare qualsiasi cosa per non perderlo. Alla fine della sua condanna, e alla fine del periodo storico in cui la germania tentava di lavarsi la coscienza attribuendo le colpe, hanna dice la cosa meno ipocrita e più coerente : i morti sono morti. Paradossalmente, c'è chi ha avuto l'energia per andare oltre, addirittura oltre una tragedia come la shoa, e che ora vive in una casa elegante nell'upper east side a manhattan e dall'altra parte invece c'è chi non ha avuto la forza di superare la paura di un più banale analfabetismo. Il pentimento di hanna è taciuto dalla narrazione, ma deve per forza maturare nel momento in cui realizza che è/era possibile imparare a leggere e che una scelta era possibile.

Anonimo ha detto...

grazie parsec, era ciò che volevo scrivere nel mio ultimo commento rigurado il film.
-noioso la parte centrale (il processo e le lezioni universitarie) - complesso o almeno non chiaro come tratta le generazioni venute dopo il nazismo (forse con troppa facilità). io mi sono veramente indignato con il personaggio di Hanna perché ha una grande paura e vergogna di essere analfabeta, nonostante abbia una grande amore per i libri.
@ NICKOFTIME: concordo pienamente con quanto tu hai scritto. io amo i movimenti di macchina, i lunghi piani sequenza come i film a carattere sperimentale, pero ho trovato di una lentezza esasperante tutte le parti dove compariva il personaggio di Ralph Fiennes.

Anonimo ha detto...

Parsec:
Hanna è rimasta una bambina ed è paradossalmente da quello, dalla sua distorta purezza che produce la sua realtà: nella sua testa si rapporta al giovane amante come fosse una sua coetanea e con la stessa predisposizione affronta le sue paure...come quella di non sapere ne leggere ne scrive...avrebbe bisogno di avere un genitore che però arriva (con il processo ) quando è troppo tardi.

Sul fatto che Hanna avesse scelto le SS perchè analfabeta non ci avevo pensato perchè quello che mi aveva colpito era ancora la banalità con cui si produce il male...niente discorsi sui massimi sistemi, tutto ridotto ad un mucchietto di pure e semplici banalità...tutto avviene nella sua testa ed in questo senso Hanna sceglie il lavoro migliore per lei..quello in cui non sia previsto essere alfabetizzati...quando il giudice gli lo fa notare lei non capisce perchè dentro la sua testa quella rimane ancora una volta la scelta migliore.

ETHAN:
Devo dirti che nonostante i suoi difetti The reader è un film che non passa inosservato: guarda per esempio i punti di vista che ha prodotto nel nostro blog...tutti importanti e veramente belli...e l'acrimonia che ha generato in giro per la rete ....

PS
A breve tornerò su questo film con una domanda suggeritami da Veri Paccheri...ci vediamo

NICKOFTIME