martedì, marzo 31, 2009

Gran Torino di Fabrizio Luperto

Il prolifico Clint Eastwood pochi mesi dopo CHANGELING, torna prepotentemente sugli schermi con GRAN TORINO, titolo ispirato dal nome dell'auto prodotta dalla Ford e resa celebre dalla serie tv STARSKY E HUTCH.
Scrivendo di CHANGELING avevo detto che il film era l'ennesimo pugno sferrato dal regista americano impegnato da anni a demolire il mito del sogno americano.
GRAN TORINO probabilmente rappresenta il colpo del definitivo ko.

Walt Kowalsky è un ex operaio della Ford burbero e razzista, incattivito ancor di più dalla recente vedovanza. Non ha nessuna stima dei suoi figli e delle loro famiglie e odia particolarmente i nipoti. Vive da solo in un quartiere ghetto della periferia di Detroit invaso da gang giovanili e abitato quasi esclusivamente da immigrati orientali.
Il vecchio Kowalsky passa le giornate seduto sul patio della sua casa, a difesa del suo territorio, bevendo birra e ammirando la sua vecchia Ford Gran Torino del 1972.Ovviamente, il suo razzismo lo porta ad odiare a priori anche i giovani fratelli Lor, i suoi nuovi vicini di casa di origine Hmong.Superate le diffidenze e le incomprensioni iniziali il vecchio Walt instaura un rapporto quasi paterno con i due giovani.
Questo film capolavoro, tecnicamente ineccepibile, che chi conosce il cinema di Clint Eastwood troverà dalla trama prevedibile, ha più livelli di lettura e probabilmente in futuro molte pagine saranno riempite da storici e critici di cinema nel tentativo di analizzarlo nella sua completezza.
Personalmente mi limiterò ad esporre le mie considerazioni in merito a quello che Eastwood ci fa vedere sullo schermo e a quello, parallelo alla trama, che il regista americano ci comunica, che ritengo possa essere considerato una sorta di personale testamento cinematografico.
GRAN TORINO, film politicamente scorretto, è senza dubbio un film di frontiera (e qui già siamo al western di Sergio Leone con Eastwood protagonista, sempre ambientato al confine tra Messico e Stati Uniti). E' film di frontiera perchè Walt Kowalsky è l'ultimo americano del quartiere e i suoi vicini Hmong sono una popolazione cacciata dalla propria terra (nel film non viene detto esplicitamente ma proprio come i genitori di Kowalsky, di cui si potrebbe ipotizzare la fuga dalla Polonia invasa dai nazisti).
La frontiera, il limite invalicabile, è rappresentato dal giardinetto di casa, ultimo baluardo da difendere dall'invasione dei barbari orientali.Fortissimi i legami di GRAN TORINO con il cinema recente di Clint Eastwood e in particolare con MILLION DOLLAR BABY, con il quale il cineasta americano ci aveva dato lezione sulla proprietà individuale della vita; aveva criticato aspramente i sussidi statali e chi pretende di campare sulle spalle degli altri; aveva insistito sulla dimensione paterna non necessariamente legata all'anagrafe ma esercitata sulla base delle responsabilità di cui farsi carico dinanzi alle nuove generazioni.
Tutto questo lo ritroviamo in GRAN TORINO, Walt Kowalsky è si razzista, moralista, ma il suo modo di essere è indotto dal mondo violento e immorale che lo circonda.
Walt è un feroce anticlericale che allo stesso tempo disprezza i nipoti che disonorano i riti religiosi; è un reduce di guerra che odia la guerra ma che non esita un minuto ad impugnare le armi per difendere chi è vittima di soprusi, preoccupandosi però non di uccidere, ma di assicurare alla legge i cattivi.
La moralità di Walt Kowalsky è così alta, pura, che quando i fratelli Lor, suoi vicini di casa, vengono aggrediti, il vecchio metalmeccanico si tormenta per non essere riuscito a difenderli e si accanisce contro se stesso facendosi bersaglio.
Infatti, quando affronterà la gang, estrarrà la "pistola" non per colpire ma per indicare il bersaglio.
Molti critici autorevoli hanno visto in questo gesto la redenzione di Walt Kowalsky, personalmente credo che questa interpretazione sia completamente errata, e ahimè forse dettata non da una lettura superficiale del film ma dalla voglia di "assolvere" il Clint Eastwood autore, capace di portare coraggiosamente sullo schermo un film reazionario/moralista che non suscita molte simpatie su certa stampa. Per chi scrive, non c'è alcuna redenzione nel protagonista e infatti nelle parole che chiudono il film, Walt si fa beffe dei suoi figli e nipoti e invita il giovane Thao a non comportarsi come i messicani, le checche, i coatti italiani e coreani ecc.. dimostrando sino in fondo tutta la sua coerenza.
GRAN TORINO, film densissimo, è il riepilogo di tutta la filmografia di Clint Eastwood.
Il regista-attore presta a Walt Kowalsky molto di più del suo volto, gli dona quasi cinquant'anni di carriera con i personaggi più noti da lui interpretati che sono chiaramente riproposti nei gesti e nelle parole del protagonista.
A supporto di questa ultima tesi basti notare i passaggi che sfiorano la commedia pregni di ironia autoreferenziale e da un linguaggio western-poliziesco. Eastwood ha urgenza di dirci delle cose, di lasciare il suo testamento cinematografico, e oltre al linguaggio usa meravigliosamente la macchina da presa non sprecando neanche un'inquadratura.
La vecchia Gran Torino è la sua vita artistica, la lucidatura sono i ricordi e le emozioni passate, il viale dove è parcheggiata è ovviamente quello del tramonto.
Con Walt Kowalsky muore il Clint Eastwood attore, muoiono il "monco" e il "biondo" di Sergio Leone, muore l'ispettore Callaghan di Don Siegel.
Mai più rivredremo sugli schermi il grande Clint, tanto è palese la sua intenzione di salutarci per sempre.
Film immenso che va di molto oltre quello che scorre sullo schermo. Testamento.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Interventi sempre qualificati ed interessanti. Ho trovato passionali e volutamente "maniacali" (mi sbaglio?) i tuoi scritti sul cinema a mano armata, diabolicamente sinergici alla conoscenza del genere. Ogni tua pubblicazione è sempre (se sei d'accordo!) prodromica alla comprensione di una pellicola.