venerdì, ottobre 24, 2008

THE HURT LOCKER


Lo sfondo ricorda il paesaggio lunare che appartiene ai luoghi dell’anima ma anche a quelli desunti dalla cronaca del tempo presente: la guerra come dimensione che annichilisce la dignità dell’uomo e la riduce, attraverso i suoi simboli più vistosi (le insegne, la divisa, le armi) in una ad una componente del meccanismo che la alimenta. Ma è lì, nel cuore del problema, che tutto si azzera e la retorica della democrazia si trasforma in una lotta contro il tempo: quello della bomba che sta per esplodere, ossessivo ed onnipresente, ma anche quello della tregua, scandito dal conto alla rovescia che accompagna e sottolinea in maniera drammatica, per il sentore di non riuscire ad arrivare al traguardo, le missioni di una squadra di artificieri nella capitale irachena. E’ proprio laggiù, tra macerie reali (desunte dal contesto contingente) e metaforiche (quelle che appartengono alla vita dei tre protagonisti) che la Bigelow organizza il “rendez vous” con il suo cinema, tornando a respirare la libertà ed il dinamismo delle produzioni a basso budget. Un ritorno sulla terra, a base di “macchina a mano ed olio di gomito”, per denudare la notizia e restituircela nella crudezza della sua complessità.
La cronaca giornaliera, roboante ed adrenalinica quanto basta per stimolare le sinapsi dell’autrice, si mescola con i sentimenti di un privato tratteggiato in maniera minimalista ed imploso negli sguardi di quegli uomini e nella reticenza delle loro parole. Americano nel privilegiare l’azione all’astrazione, “The Hurt Locker” non tralascia niente di questa sporca guerra: ci sono bambini che muoiono e soldati che uccidono, c’è l’onnipotenza di chi si crede vincitore ma anche il sudore freddo della paura. Ma è soprattutto il senso di tragica fatalità, continuamente presente negli sviluppi e nelle conclusioni delle vicende che occupano la scena e reso tangibile nel protagonista principale, un soldato che non può fare a meno della guerra- dopo i vampiri de “Il buio si avvicina” ed i surfisti di “Point break, la Bigelow ripropone con successo un personaggio “Addicted”- che il film riesce a superare le barriere del genere, diventando ben presto un resoconto sulla condizione umana. Se la messa in scena della guerra appare estremamente veritiera, convince la volontà della Bigelow di dare un nome a coloro che la combattono, al di là delle ideologie e delle ragioni di parte. Un cast di quasi sconosciuti (Makie l’avevamo visto in “She hate me”di Spike Lee e nel mai distribuito “Half Nelson”, film nominato all’Oscar per la formidabile interpretazione di Ryan Gosling) e due star (Ralph Fiennes e Guy Pierce) che scompaiono quasi subito ci danno il senso di un opera che riduce le distanze e punta dritta al cuore dello spettatore.

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